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Anno edizione: 2010
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Il titolo originale è Abril Rojo (2008), diverso, interessante, ben scritto e coinvolgente, si sviluppa su trame ben diverse dai soliti serial killer americani, in alcuni tratti non sembra nemmeno sia un thriller, consigliato, credo leggerò anche altro dell'autore, mi ha incuriosito.
Favoloso. Inclazante ed imprevedibile sino all'ultima pagina, grazie Santiago
Personalmente è stata una delusione anche se la parte descrittiva è molto bella
Recensioni
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Il sostituto procuratore distrettuale Felix Chacaltana Saldívar è stato trasferito da Lima alla natale Ayacucho, nel pieno dell'altopiano andino che dal Perú si estende verso il lago Titicaca e la Bolivia. Lì, poco dopo il suo arrivo, comincia a srotolarsi una catena di orrendi delitti che sembrano seguire le date del calendario liturgico, marcando ogni tappa della settimana santa.
Chacaltana è parente stretto dell'agrimensore K. e di Giovanni Drogo, il protagonista del Deserto dei tartari: come loro, è il funzionario zelante che giunge in una località di confine non solo in termini geografici, ma anche e soprattutto di isolamento civile e culturale e si illude di potervi applicare la logica ferrea e onesta delle regole che ha studiato per tutta la vita, nelle quali è cresciuto e che crede che costituiscano un retaggio condiviso da tutti, un comune terreno d'esperienza. Ma la sua disillusione è simile a quella che hanno provato l'agrimensore di Kafka e il tenente di Buzzati: man mano che si addentra nella nuova realtà che gli è toccata in sorte, Chacaltana si avvede che le sue regole perdono universalità e appaiono pedanterie moleste, a fronte di una logica affatto diversa, sbrigativa, propria del potere e ancor più del potere militarizzato. Le norme giuridiche e procedurali si trasformano in fastidiosi intralci per chi è stato abituato a vedersela con nemici spietati e a rispondere con le loro stesse armi, senza poter indulgere in troppe finezze.
C'è perciò una differenza fondamentale tra il romanzo di Roncagliolo e i modelli ai quali sembra essere almeno in parte ispirato: la realtà contro la quale si scontra il sostituto procuratore non è quella eterea, rarefatta e surreale del Castello o della Fortezza Bastiani, ma brutale, quasi animale. Sendero luminoso ha seminato tanta violenza, e così immotivata e incomprensibile, che ha finito per contaminare tutto quello che gli era intorno, persone e istituzioni con le quali era venuto in contatto, al punto che nessuno sembra ormai immune dal contagio della follia. Il male tende a farsi assoluto, indipendente dai torti e dalle ragioni, attaccato al tessuto connettivo dell'esistenza umana.
La stessa vita di Chacaltana è in fondo marcata da questo clima: non ha mai conosciuto il padre e ha perso la madre a nove anni, divorata da un incendio le cui circostanze non sono mai state chiarite. Divorziato dalla moglie limegna, incapace di crearsi altri legami, il sostituto procuratore vive tra le amate scartoffie dell'ufficio e una piatta quiete domestica, ravvivata solo dalla timida passione per la cameriera Edith e dalla sempiterna presenza della madre, con il cui fantasma continua a parlare ogni giorno, circondandosi delle fotografie della donna, che ha finito per trasformare in una divinità familiare da adorare nel tabernacolo della camera da letto ricostruita com'era prima della morte.
"Innocente o colpevole?", ripete ossessivamente il compagno Alonso, nome di battaglia del senderista Hernán Durango González, al sostituto procuratore che è andato a interrogarlo nel carcere di massima sicurezza di Huamanga per cercare di far luce sui delitti della settimana santa. Siamo tutti innocenti, o siamo tutti colpevoli, risponde il terrorista alla sua stessa domanda, lasciando intendere che in fondo non c'è differenza, perché colpevolezza o innocenza si fondono e confondono in un'unità oscena, che divora e assorbe chiunque le si avvicini con l'illusione di discernerne i connotati.
E lo stesso comandante Carrión, cinico e disincantato rappresentante della legge e dell'ordine militare, finisce per rivelare una verità che all'onesto magistrato era sempre sfuggita, proprio perché incapace di liberarsi delle rigide categorie di un'etica elementare quanto sincera: "Lei crede che siamo un branco di assassini, vero, Chacaltana? (
) Letteratura, vero? La letteratura dice troppe cose belle, signor procuratore. Troppe. Voi intellettuali disprezzate noi militari perché non leggiamo. Il nostro problema è che ne abbiamo le palle piene della realtà, non abbiamo mai visto le belle cose di ci parlano i suoi libri. Qui non ci sono stati uno o due gruppi terroristi. Qui c'è stata una guerra, signor procuratore. E in guerra, la gente muore".
Schierati su fronti opposti, il terrorista e il militare dicono tuttavia la stessa cosa, rifiutano entrambi l'idea di essere dalla parte del giusto: non è questo il punto, sembrano volerci dire, il fatto è che non esiste giustizia o ingiustizia, esiste solo l'eterno istinto umano a scannare il prossimo. Homo homini lupus: sarebbe il trionfo di Hobbes, se solo il Leviatano del filosofo inglese si fosse mai arrampicato fin sugli scabri contrafforti delle Ande.
"Noi uomini", spiega don Queiroz, l'ombroso parroco di Ayacucho che sembra portare la propria missione come una croce della quale è impossibile liberarsi, "siamo gli unici animali ad avere coscienza della morte. Le altre creature di Dio non hanno un'esperienza collettiva della morte, o ne hanno una del tutto fugace. Forse ogni gatto od ogni cane si crede immortale perché non è morto". Ci stiamo probabilmente avvicinando alla verità: protagonista del romanzo di Roncagliolo, più che il donchisciottesco Chacaltana o l'apparentemente feroce Carrión, il rassegnato don Queiroz o la misteriosa Edith, è la morte, che incombe sui personaggi e sui paesaggi come un gigantesco golem, un Frankenstein costruito con i macabri brandelli delle vittime dei delitti della settimana santa.
Il romanzo di Roncagliolo ha la struttura di un giallo, o meglio ancora di un noir, se si preferisce, e dunque il lettore troverà, o crederà di aver trovato, le risposte alle domande che si succedono lungo le pagine del libro, a cominciare ovviamente da quella primigenia: chi è il colpevole? Chi ha compiuto i delitti? E tuttavia, al di là della soluzione di questi enigmi, resterà sospesa sulle nostre teste l'impressione insopprimibile che la vera colpa è condivisa da tutti, dall'intera comunità di Ayacucho e più oltre, al fondo di tutte le cose, dal genere umano.
Una parola di elogio va spesa per la traduttrice, che è riuscita a rendere con credibilità il complesso castigliano del testo originale, intriso di localismi ed espressioni proprie della ricca tradizione culturale dell'altipiano, nella quale il quechua e l'aymara hanno sedimentato strati multicolori come i tessuti andini, volatili e ventosi come le raffiche che si infilano tra le rocce e piegano gli arbusti rinsecchiti. Silvio Mignano
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