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Recensioni Gli dèi di Mr. Tasker

Gli dèi di Mr. Tasker di Theodore F. Powys
Recensioni: 5/5

I fratelli Powys – John Cowper, Theodore Francis e Llewellyn – sono ormai una leggenda della letteratura inglese. Diversissimi, ma subito riconoscibili per un loro carattere eccentrico, appartato, ossessivo, fantasticatore, occupano il paesaggio come pietre preistoriche del loro Galles. Primo fra tutti Theodore Francis, quello che sembra aver avuto da sempre un dono di infallibile narratore, capace di chiudere tensioni infernali e presagi paradisiaci nelle sue storie di piccoli villaggi, un po’ come la Compton-Burnett riusciva a chiudere tutti gli orrori metropolitani nei suoi asciutti dialoghi ‘fra parenti’. Gli dèi di Mr. Tasker, pubblicato nel 1924, è uno dei primi romanzi di T.F. Powys e anche uno dei più perfetti. Chi sono gli dèi di cui si parla? Sono i floridi porci della fattoria di Mr. Tasker, e non c’è nessuna enfasi nella definizione: «Mr. Tasker adorava i maiali, e i campi intorno alla sua casa brulicavano sempre di queste turbe di dèi grassi e magri. Ammazzava i suoi dèi lui stesso, e li avrebbe crocifissi con grande fervore se questo gli fosse servito a dissanguarli meglio e a farseli pagare di più».
Un alone di orrore teologico, uno ‘humour’ di pece avvolgono subito la storia di Mr. Tasker e il torpido villaggio di campagna in cui si svolge. Perché il primo e centrale oggetto delle storie di Powys è ‘il male’. Pochi scrittori hanno saputo ‘raccontare il male’ con altrettanta precisione, sobrietà e potenza: dalla sordidezza domestica allo smisurato, «eterno fango, lo sfondo di ogni vita, di fronte a cui i nostri pochi giorni sono come niente, e noi come foglie spazzate via dal vento», dalle ipocrisie dei benpensanti alla pura, abbagliante violenza. Piccole isole idilliache, intermezzi grotteschi, delicatezze e sogni sbocciano su quel nero fondo e vi sopravvivono qualche tempo, prima di essere risucchiati. Come oscure divinità appena disseppellite, i porci dell’infame Mr. Tasker presiedono, ignari e indifferenti, alla rovina degli incolpevoli o dei malvagi. T.F. Powys non ha bisogno di parlarci del diavolo per farci sentire la presenza satanica: gli basta un boccale di birra, una stia, un dialogo smozzicato, l’odore del fieno. Con brevi frasi staccate, senza mai cedere al ‘pathos’, ci introduce a persone e a paesaggi plasmati con la stessa terra: una terra in cui sembra essere stato insufflato l’orrore gnostico per il mondo e la sua infinita seduzione. Nella terribile concretezza di queste storie di una perduta provincia fuori dal tempo riconosciamo uno dei rari ‘scrittori metafisici’ del nostro secolo.

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