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Artista è chi sa accostare ai dolorosi fasti del proprio demone l'istinto di una calda originalità, oltre quel cielo che lo avvolge e lo decide. In ogni spigolo di contatto: nelle sintassi dei suoi incontri, nel vento di un'esperienza, nel suono di una battuta o di un'osservazione, nello spiraglio di un gesto. Un umano che dunque sappia farsi lascito e stima accanto alla stretta chiamata che lo stringe. E qui fra queste pagine bellissime nulla manca davvero a confermare questo precetto. Quando un giorno in casa di un ragazzino di nove anni compare l'amico di famiglia Edgar Degas una luce nuova illumina le fragili faglie di quel cuore. Sarà l'inizio di una carezza d'avvento destinata a imprimersi a fuoco sul manto della sua esperienza. Degas diventerà un amico, un Maestro, un cantore di risa e di morali, di giudizi e di silenzi, di calore e severità: "La ragione cosa vuol dire? Le più grandi sciocchezze sono state dette in nome della ragione". Più avanti, commentando l'acquisto di un suo quadro, eccolo stoccare una sentenza geniale con la lussuosa modestia di chi ama corteggiare un paradosso: "Credo che chi lo ha dipinto non sia una testa di cazzo, ma chi lo ha comprato a quel prezzo è un coglione". Salace incanto di riflessioni varie, come quest'altra, più scaltra e aguzza in una fierezza d'amor proprio, ma che vale un'incisione nel marmo del ricordo: "Se Veronese sbarcasse sulle rive della Senna, per scendere dalla sua gondola darebbe la mano a me, e non a Bouguerau". La lode di un discepolo ammirato qui confessa ogni rigo senza tremore: "Avete dipinto la discesa agli inferi dell'Arte, come frecce scoccate da un'anima di dea che vadano a conficcarsi in una terra d'errore". Sommo complimento, che è tuttavia nulla davanti all'imperscrutabile grandezza di cui quest'uomo era capace. Lui, Edgar Degas, poi finito in pasto alle tenebre, in una cecità forse di destino e solitudine, ma mossa anche lì in una solitudine che è sguardo e grandezza d'esempio. Di meraviglia.
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