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Kola è un bambino russo, che ha vissuto in tre orfanotrofi diversi insieme alla sorella Alyona. Egli associa al ricordo della madre una mela verde, ultimo regalo ricevuto da lei; così è normale vederlo assorto accanto a una mela, nel tentativo di ritrovare una traccia di chi mai più tornerà e a cui non tutto è stato perdonato. Kola ha un'unica fonte seria di inquietudine: teme la separazione dalla sorella, che rappresenta l'ultimo legame di sangue rimastogli. Tuttavia, gli anni in orfanotrofio non possono definirsi negativi. È lì, infatti, che il piccolo ha conosciuto l'amicizia, ha ricevuto degli insegnamenti importanti e ha intuito per la prima volta nella sua vita cosa sia la protezione di un adulto che ha a cuore il tuo destino. Poi, la svolta. Dall'Italia, un luogo lontano, che il piccolo Kola non sa nemmeno bene dove sia, arrivano due coniugi, due sconosciuti altruisti, che hanno deciso di mettere a disposizione dei bambini il loro grande cuore. Ed è quello il momento di lasciarsi alle spalle il dolore, una terra arida, di pronunciare a voce alta Dasvidania e guardare al futuro con fiducia. Molto bella questa storia che si snoda in poco più di centocinquanta pagine. È una storia di miseria, di desolazione, anche emotiva, e di solitudine, raccontata in modo intimistico da chi ormai adulto e sereno, getta uno sguardo al passato per rimettere ordine nei propri sentimenti. Ed è anche un romanzo da cui emergono figure importanti e solidali, una sorta di meteore che si trovano nel posto giusto e nel momento giusto, per darti un insegnamento o indicarti la strada giusta da percorrere e che poi, così come sono apparse, scompaiono, lasciando una scia positiva e luminosa. Un romanzo breve, ma non leggero, che permette al lettore di scoprire il potere dell'immaginazione in un mondo di solitudine e desolazione.
Melodramma travestito da narrazione controllata e ovvietà a ripetizione. Credo siano sufficienti alcune citazioni dal romanzo per comprendere il tenore stilistico. Le prime che colpiscono per essere un qualunque pretesto descrittivo che esula, per sostanza e forma, da qualsiasi costruzione, se non letteraria, di buona narrazione, sono le seguenti: "occhi azzurri come il cielo" "capelli dorati che sembrano spighe di grano" "Lei indossava sempre abiti colorati [...] per nasconderci il cielo grigio della città". Impensabile ritenere che non fosse possibile individuare un qualche succedaneo dignitoso a queste formule che si commentano da sole per il loro carattere ordinario. Viene da domandarsi quale ratio abbia condotto i componenti della giuria del Premio Comisso a segnalare un testo come questo, tra i migliori della competizione di quest'anno. Ovvietà sinonimo di improbabile talento? Assenza di ricerca sinonimo di qualità?
Ho ricevuto Dasvidania gratuitamente da parte di IBS avendone recensito l'estratto. Ho apprezzato molto questo racconto, di uno scrittore emergente davvero dotato. La sua personalissima storia mi ha toccato nel profondo, consigliato
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