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recensioni di Balestra, G. L'Indice del 2000, n. 02
Finalmente giunge in Italia un romanzo della scrittrice Paule Marshall, attiva negli Stati Uniti fin dal 1959, quando pubblicò il suo primo romanzo, Brown Girl, Brownstones, diventando un'esponente di spicco della letteratura afroamericana. Spesso accomunata a Toni Morrison e Alice Walker, Paule Marshall ha una voce autonoma, forte e originale che merita di essere ascoltata; una voce in cui si sentono modulazioni caraibiche, timbri africani, echi della tradizione americana. Nata a New York nel 1929 da genitori originari delle Barbados, in quel suo primo romanzo rappresentava in modo intenso e commovente la comunità di immigrati dai Caraibi, la loro lotta per la sopravvivenza, il conflitto fra memoria e sogno americano, lo scontro con il razzismo, ma anche la difficoltà di relazionarsi con la tradizione afroamericana. Il confronto fra culture diverse, in particolare quelle delle Indie occidentali e degli Stati Uniti, ritorna in tutta la sua narrativa, che con creatività esplora problematiche ora al centro di molti studi critici su multiculturalismo e ibridismo. In storie avvincenti e raffinate, che risentono della tradizione orale dello storytelling, i Caraibi compaiono di volta in volta come sogno o incubo, come luogo cui tornare o da cui fuggire, come Eden deteriorato dal turismo e dalla commercializzazione, come spazio della memoria e del mito.
Danza per una vedova è il ter-
zo romanzo di Paule Marshall. Pubblicato originariamente nel 1983 con il titolo Praisong for the Widow, è stato tradotto in varie lingue e accolto con favore dalla critica e dal pubblico, ottenendo importanti riconoscimenti quali il Before Columbus American Book Award. Protagonista del romanzo è Avey Johnson, un'americana nera di sessantaquattro anni, che ha lavorato tutta la vita, come il marito, per ottenere il benessere economico ed entrare a far parte della borghesia, con casa nei sobborghi di New York e abiti eleganti. Da quando è rimasta vedova, ogni anno si concede come vacanza una crociera ai Caraibi con due amiche. Ed è proprio durante l'ultima crociera che ha un sogno attraverso il quale riaffiorano in lei ricordi rimossi della sua infanzia; un sogno che cambia il corso della sua vita, spingendola ad abbandonare la nave. Sbarcata nell'isola di Grenada con l'intenzione di prendere il primo aereo disponibile per tornare a casa, rimane però bloccata sull'isola e inizia un percorso di conoscenza che - come sostiene M. Giulia Fabi nella postfazione - si configura come una vera e propria quest, una ricerca fatta di prove, incontri con aiutanti mitici, riti iniziatici.
Il cammino è arduo e coinvolgente. Da un lato implica una revisione di tutta la sua vita, rievocata con ampi flashback che mostrano la lotta della protagonista e del marito per affrancarsi dalla povertà e dal ghetto. Avey raggiunge la consapevolezza dolorosa che il successo è stato pagato a un prezzo troppo alto, che l'adesione ai valori del materialismo americano ha comportato una perdita in termini di valori individuali e di identità culturale. Dall'altro lato il percorso di ricerca la porta a riscoprire questa identità culturale, a livello personale e collettivo. Avey dovrà affidarsi a un aiutante mitico, un vecchio zoppo che incarna una divinità degli Yoruba e la introduce al culto africano degli antenati, inducendola a partecipare al rito collettivo della danza. Se già la breve traversata da Grenada a Carriacou la porta a rivivere l'orrore del middle passage, e a condividere l'esperienza storica della schiavitù, l'epifania finale la porta a fare sua la leggenda degli Ibo che le raccontava la vecchia prozia. La storia degli schiavi che, sbarcati in catene sulle coste della Carolina del Sud, decidono di tornare in Africa camminando sulle acque dell'oceano, diventa parte della storia personale della protagonista e strumento della sua rivoluzione culturale. Se da bambina aveva a un certo punto messo in dubbio la possibilità di camminare sulle acque rinunciando al folklore nero e alla tradizione, da adulta recupera questo mito afroamericano nel suo significato di resistenza all'oppressione e di appartenenza culturale. Allora, come il vecchio marinaio della ballata di Coleridge, Avey si assume il compito di raccontare la storia, quella sua personale e quella collettiva, l'escursione ai Caraibi e il viaggio degli Ibo, ristabilendo la memoria storica e l'identità culturale.
Il percorso della protagonista di Danza per una vedova si snoda in spazi e tempi incantati, che non sono quelli delle immagini pubblicitarie delle isole caraibiche, ma quelli filtrati dalle sue emozioni, sensazioni, ricordi. Le vicende personali, scandagliate con finezza psicologica e risonanze universali, si dipanano in contesti culturali diversi che non possono non affascinare il lettore europeo, spinto a seguire tracce misteriose e poi abilmente condotto a decifrarle. È proprio la ricca stratificazione culturale a rendere appassionante questo romanzo, in cui rituali caraibici e miti africani si intrecciano a citazioni bibliche e allusioni letterarie del canone occidentale, in cui l'arte del raccontare si avvale della tradizione orale e di una raffinata tecnica narrativa. La prosa di Paule Marshall danza al ritmo del jazz e del blues che i giovani protagonisti ascoltano dopo una dura giornata di lavoro, danza al suono dei gospel domenicali e alla scansione dei versi di Langston Hughes e Gwendolyn Brooks, danza ai ritmi dei tamburi africani e della musica creola. E in quella danza coinvolge il lettore, comunicando vibrazioni oscure come la musica prodotta dal vecchio percussionista nella cerimonia rituale: "Quella nota era un lamento che non poteva provenire solo da un barile di rum usato come tamburo. La sua origine doveva essere il cuore, la cavità più recondita, ferita e ancora sanguinante, del cuore collettivo". Lo stile di Paule Marshall si esprime in continue variazioni capaci di rappresentare la realtà e il suo valore simbolico, ma anche l'essenza del linguaggio creolo e la sua musicalità.
(G.B.)
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