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Anno edizione: 2018
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Sono pienamente d’accordo con la recensione di “Rudi” che mi precede. Romanzo prolisso, verboso, che spiega con ossessivo dettaglio ogni singolo episodio o moto dell’animo dei protagonisti, infarcendo continuamente il racconto di spiegazioni su come funziona in genere la psiche di uomini e donne, con un intento didascalico che finisce per annegare il racconto (peraltro piuttosto esile per le circa mille pagine di libro), nei ripetuti “sermoni” sul genere umano. Certo la grande intelligenza di George Eliot traspare anche dalle pagine di questo romanzo, che tuttavia è ben lontano da capolavori come Middlemarch e Il Mulino sulla Floss, nei quali scorrevolezza, incisività e fine indagine psicologica sono un tutt’uno. Per non parlare poi dei discorsi spesso farneticanti di Mordecai e del suo improbabile comportamento, che non rendono, a mio parere, un buon servizio alla causa ebraica.
Letto e apprezzato tantissimo
Dopo quasi 1000 pagine e quattro settimane di lettura, si rimane con la gradevolissima sensazione di aver perso tempo. Dialoghi interminabili e sfiancanti (si apprezza la laconicità di un personaggio odioso come Grancourt), descrizioni e spiegazioni inutilmente minuziose e dettagliate (sembra di leggere Henry James, che vuole spiegare e analizzare ogni minima sfaccettatura dei comportamenti e dei sentimenti), ritrovamenti miracolosi degni di un romanzo d’appendice, un personaggio centrale che ha la vivacità di una mummia imbalsamata, discussioni teologiche e filosofiche al limite della farneticazione. Ben lontana dalla finezza psicologica dei suoi migliori lavori, in questo romanzo Mary Ann Evans, tutta presa dal proprio intento didascalico, finisce per svilire proprio quegli ebrei che tenta di difendere così strenuamente, trasformandoli in macchiette di sovrumana purezza (Deronda, Mirah, Mardocheo).
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