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Giannuli, in questo volume, dà conto di una sua fortunata scoperta documentaria. Consulente di una (non nominata) commissione parlamentare d'inchiesta, girovagando per gli scantinati del ministero degli Interni avrebbe recuperato dall'archivio di deposito della direzione centrale della polizia di prevenzione (erede dell'ufficio affari riservati, a sua volta discendente dalla polizia politica fascista) una corposa serie di carte denominate Russia-Germania, quattro unità archivistiche sulle cinque originarie, 1370 documenti in totale, di cui 775 con autore riconoscibile, la metà delle informative scritte da due informatori e l'altra metà da un'altra decina, due quinti dei documenti relativi a Roma, il 40 per cento del totale riguardanti il 1941, un quarto ciascuno relativi invece al 1942 e al 1943. Potrebbe sembrare una goccia nel mare delle carte di polizia del fascismo. Ma ha fatto bene invece Giannuli a prendere sul serio quel blocco di documenti, rappresentanti una serie di rapporti e informative sullo stato dell'opinione pubblica relativi alla guerra fascista in Russia, appunto dal 1941 al 1943.
Sondaggi sullo stesso tema avevano svolto a suo tempo De Felice e, fra gli altri, giungendo anche a conclusioni diverse, Simona Colarizi, Mauro Canali e soprattutto Mimmo Franzinelli. Ora Giannuli mette a disposizione con ampie citazioni qua e là si leggono però le conseguenze dello scanner una bella massa di materiale. Da esso emerge come sin dall'inizio l'entusiasmo degli italiani (ma più esattamente dovrebbe dirsi: di quegli italiani osservati in quelle città in cui operavano quei collaboratori della polizia politica di cui si sono conservati quei rapporti, studiati da Giannuli) per la spedizione dello Csir e poi dell'Armir in Russia sarebbe stato freddissimo, assai presto sostituito addirittura da timori e previsioni di sciagure. Queste carte rivelerebbero anche il carattere controproducente della propaganda del regime. Si confermerebbe soprattutto che, per la via di questi rapporti, lo stato preoccupato del sentimento degli italiani in guerra giungeva ai vertici del regime, che ne era informato: e che, nonostante questo, perseverò nella propria politica. Mentre De Felice aveva insistito sulla delusione del dittatore per la presupposta scarsa tempra guerriera degli italiani, Giannuli dimostra come questi fossero nel complesso straordinariamente ben informati, realisti e preoccupati dalla politica del regime.
Non meno dei risultati documentari, il volume si segnala per le pagine iniziali in cui l'autore spiega come a suo parere devono usarsi le fonti di polizia. In esse Giannuli spiega bene come lo storico possa avvalersene: e non tanto, o soltanto, come peraltro Mauro Canali suggerisce in una prefazione non d'occasione, "credendo" a quello che tali fonti riportano, quanto per quello che ci dicono del regime, dell'organizzazione della polizia politica, delle singole figure dei collaboratori e degli "spioni".
Solo una chiosa sia permessa, non su Giannuli, che ci ha dato un volume documentato e utile per la storia militare e politica del regime, ma sullo stato degli archivi italiani: si deve essere collaboratori di commissioni d'inchiesta per poter vedere certe carte?
Nicola Labanca
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