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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2018
Più che una raccolta di saggi, questo volumetto habermasiano recentemente edito da Laterza è una galleria di ritratti, che Habermas dedica a studiosi e filosofi della sua generazione o di quelle precedenti. La raccolta è composta prevalentemente da scritti o discorsi la cui genesi è occasionale (si va, tanto per fare qualche esempio, dalla laudatio per Georg Henrik von Wright al saluto rivolto ad Apel nel momento della sua nomina a professore emerito); tuttavia, letti nel loro insieme, anche questi interventi d'occasione non mancano di gettare luce su temi o aspetti che hanno caratterizzato la riflessione habermasiana negli ultimi anni.
Fra i testi che si leggono con maggior piacere vi è certamente il ritratto che Habermas dedica all'amico e collega Karl-Otto Apel. L'autore ricorda di aver conosciuto Apel, più anziano di lui di sette anni (Apel è del 1922, Habermas del 1929), quando negli anni cinquanta decise di proseguire i suoi studi universitari a Bonn. E mette bene in evidenza quello che già allora, quando Apel teneva i suoi seminari come assistente di Erich Rothaker, costituiva uno dei suoi tratti di carattere più significativi e affascinanti: la passione integrale e senza riserve per la discussione filosofica, al punto tale che, come scrive Habermas, da una piccola cerchia di persone Apel era già considerato un "maestro di filosofia". Vengono così in luce le differenze ma anche le affinità tra i due studiosi, che hanno insegnato entrambi a Francoforte: mentre Habermas è un intellettuale tutto calato nella sfera pubblica, Apel "è anzitutto un filosofo e uno studioso, con una traccia di impoliticità". Un impoliticità che però non gli ha impedito, nota ancora Habermas, di dire la sua in modo chiaro e netto quando lo ha ritenuto necessario.
Molti altri sono però, accanto ad Apel, i profili intellettuali che Habermas propone in questo libretto. Il più ampio è quello dedicato a Ernst Cassirer e ai suoi studi nella londinese biblioteca Warburg. Giustamente Habermas fa notare, mettendo quindi in risalto anche un suo debito, come Cassirer sia stato determinante per imprimere una svolta di tipo semiotico-linguistico alla filosofia trascendentale di Kant. Letto in questa prospettiva, Cassirer potrebbe essere inserito a pieno titolo fra i protagonisti della "svolta linguistica" che ha segnato la filosofia del Novecento. Peccato però, nota ancora Habermas, che lo stesso Cassirer abbia sottovalutato l'importanza della sua propria apertura alla dimensione linguistica, non riuscendo a staccarsi dalla più antica impostazione gnoseologica. Così, nella sua Filosofia delle forme simboliche, le quattro dimensioni sulle quali egli si sofferma (mito e linguaggio, arte e scienza) "sono considerate dalla visuale gnoseologica come altrettanti molteplici mondi nei quali lo spirito si oggettiva con pari originarietà". Il limite fondamentale della teoria delle forme simboliche, peraltro, viene individuato da Habermas nel fatto che non è chiaro che rapporto vi sia tra la filosofia e le forme simboliche di cui essa traccia il quadro: qual è il luogo della filosofia, se non è né una forma simbolica tra le altre, né una forma superiore e includente tutte le altre?
L'altro classico al quale il volume dedica un breve profilo è Jaspers (anch'egli, come Cassirer, non è certo un pensatore che per Habermas sia stato particolarmente importante). Interessante, qui, è l'ottica a partire dalla quale Jaspers viene discusso: al centro dell'attenzione è la sua ricerca di una "fede filosofica" che sia in grado di trascendere il conflitto tra le fedi particolari, e dunque di costituire una sorta di terreno per un possibile dialogo globale. Habermas ne coglie lo spunto per ribadire la sua difesa di un'etica della comunicazione basata sull'idea che i sostenitori dei punti di vista anche più lontani devono riconoscersi reciprocamente come partner con i medesimi diritti, ovvero come "partecipanti a un discorso in cui in linea di principio ogni parte può apprendere dall'altra". Questa, per Habermas, è la vera alternativa teorica ai fondamentalismi, e a essa bisogna quindi attenersi, anche quando sembra che non abbia molte gambe per camminare nella pratica.
Una rapida carrellata, infine, sugli altri ritratti che competano il volume. A Georg Henrik von Wright, Habermas, che come lui è stato molto sensibile al tema "spiegazione e comprensione", non risparmia riconoscimenti, anche se gli rimprovera di non aver voluto andare oltre una visione non-cognitivista della morale. Un avvicinamento, sempre molto prudente, alle questioni della teologia, della redenzione e dell'utopia lo troviamo invece nei brevi scritti dedicati allo studioso della mistica ebraica Gerschom Scholem, al teologo Johann Baptist Metz e al filosofo Michael Theunissen. L'unico non filosofo presente nel volume è il cineasta e scrittore Alexander Kluge, di cui Habermas celebra l'elogio in occasione del conferimento al regista del premio Lessing.
Stefano Petrucciani
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