Nel Novecento "si poteva non fare quello che è stato fatto. Ma si poteva anche fare quello che non è stato fatto (
) Il progetto della modernità di liberazione umana, non in opposizione ma in divergente accordo con l'afflato divino che insiste nell'umano, aspetta ancora di essere strappato al privilegio di pochi e di essere esteso alle possibilità dei molti e potenzialmente di tutti". La raccolta degli ultimi scritti di Tronti è preziosa perché vi si trova, a partire dall'Autobiografia filosofica, il necessario per giudicare un itinerario di pensiero. Caratterizza inoltre la situazione odierna come una sorta di grado zero della politica, in cui è più facile incontrare la paura che non quella energia misteriosa che spinge l'essere umano verso la sua stessa essenza. L'intento è di rendere possibile un giudizio critico sulla storia del Novecento, sul movimento operaio e sull'accesso alla politica come trasformazione. Si tratta di una dialettica senza sintesi che unisce metafisica della tragedia (giovane Lukàcs) e ambito teologico-politico (Schmitt), fino a formare un'unica critica che può incrinare ogni stato di cose esistente. Il teologico-politico, falsamente considerato estinto negli anni trenta, può permettere la fuoriuscita dalla situazione attuale solo se non si separa mai dalla tragedia, diversamente esso è assorbibile dal sistema e il pensiero della trascendenza lascia la paura (e l'umanità più debole) nelle braccia del potere. È una critica aperta alla teoria della crisi delle grandi narrazioni e una ripresa di una filosofia della libertà. Pagine profonde indagano i nessi tra modernizzazione-tragedia-antipolitica. Ben pochi sono disposti ad ammettere che il tragico sia legato al politico; aggiungere poi che in mezzo a essi c'è il teologico inquieta ancora di più. Franco Racco
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