Senza tenere conto del contesto internazionale, e dei nessi tra nazioni e blocchi geopolitici, non si possono spiegare del Sessantotto né la genesi né la duratura influenza sui movimenti di protesta nell'Europa divisa dalla guerra fredda. Nemmeno le spinte alla sua riunificazione. Il volume, frutto di un gruppo di ricerca che coinvolge professori e giovani studiosi, parte da una tale consapevolezza. Alcuni saggi ivi contenuti aggiungono poco alla storiografia esistente. Dalla parte dedicata al caso italiano, e dunque all'analisi sia dei nuovi movimenti sia dei partiti tradizionali, a sinistra come a destra, di fronte al Sessantotto e alle sue conseguenze, si ricava un dato. Le culture politiche tradizionali furono sommerse e sostituite da un'autentica confusione ideologica che della dimensione internazionale dei problemi colse solo l'occasione per abbandonare l'impegno ad una seria ed operosa azione riformatrice all'interno del paese, senza per questo irrobustire la politica estera italiana o anche semplicemente una cultura diffusa delle relazioni internazionali e della loro importanza. Dalla parte dedicata ai movimenti di protesta a cavallo tra i due blocchi, quello tedesco, polacco e cecoslovacco, si ricavano invece dati originali per la nostra storiografia. Emerge come a Berlino, Praga e Varsavia si formarono e consolidarono movimenti che contestavano apertamente il comunismo sovietico per proporre alternative alla semplice adesione al modello atlantista e capitalista. Soprattutto il pacifismo mitteleuropeo si contraddistinse per la rivendicazione di una società dei diritti civili e politici, individuali e di genere, che per certi aspetti si sarebbe affermata nell'intero continente nei venticinque anni successivi al 1989. Danilo Breschi
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