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Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia - Matteo Marchesini - copertina
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Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia
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Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia - Matteo Marchesini - copertina

Descrizione


Alternando ritratti e panoramiche, e misurando l'attualità di autori canonici, eccentrici o dimenticati, il volume offre un ampio spaccato della letteratura italiana tra la fine dell'Ottocento e il Duemila. Ma il titolo non è solo uno stratagemma vivace per indicarne i confini cronologici. Infatti, occupandosi di un'epoca moderna e postmoderna in cui il peso pubblico dei linguaggi letterari si è andato rapidamente riducendo, l'autore racconta gli estremi sviluppi del rapporto abnorme che in Italia ha storicamente legato l'identità nazionale agli scrittori: scrittori che spesso, quasi a risarcire una società priva di coesione e di modelli politici comuni, da puri rappresentanti di valori estetici sono stati trasformati in veri e propri personaggi, in catalizzatori di climi ideologici e in simboli di un costume o di un modo di vivere. Ne risulta un libro in cui le analisi stilistiche fanno tutt'uno con la critica della cultura.
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Dettagli

2014
21 maggio 2014
535 p., Brossura
9788874626311

Voce della critica

  Con quale criterio, oggi, un autore italiano viene relegato tra i minori, o innalzato tra i massimi? Quali sono i presupposti su cui è possibile rifondare i mengaldiani giudizi di valore? E infine: che rapporto corre tra la cultura diffusa e la cosiddetta "alta cultura"? Di questo tenore, cartesianamente chiare e distinte, sono le domande che si pone Matteo Marchesini nel poderoso volume Da Pascoli a Busi, raccolta di articoli composti per varie testate tra il 2006 e il 2014. Ne esce un ritratto inconsueto del Novecento letterario e dell'Italia novecentesca, eternamente alla ricerca accordi consociativi che compensino il bipolarismo tribale di fondo. La medesima dinamica viene riscontrata nel mondo letterario, dove fare critica spesso coincide con l'alternanza tra pollice recto e pollice verso, senza nessuna preoccupazione per quello che Marchesini indica come il principale compito della critica stessa: schivare lo specialismo, denudare gli idoli, riannodare le fila con la realtà, essendone specchio e giudizio ad un tempo. In questo modo Da Pascoli a Busi apre il dibattito, più ancora che sul canone novecentesco, sulle modalità con cui questo canone si è affermato, alternando mitizzazioni e rimozioni, spesso all'insegna dall'idea che la novità sia un valore di per sé. Del tutto immune dal terrore della mediocrità che spesso induce gli intellettuali a rifiutare aristocraticamente ciò che è comune, quotidiano, dotato di buon senso, Marchesini non teme di tirarsi fuori dalla via maior del "Canone della Paura": così Gadda, Montale, Calvino compaiono nel suo libro non come protagonisti monumentalizzati del secolo scorso, bensì come pietre d'inciampo su cui si è infranta la "banalità culturalistica, ideologica" di certa critica, più interessata a compiacersi dell'indecifrabilità che a perseguire la leopardiana "celeste naturalezza" di uno stile capace di inglobare tutto ciò che è umano. In questo profilo non esistono Luzi, Giudici, Zanzotto (citato en passant una sola volta) né Fenoglio, Gadda o Svevo, men che meno Sanguineti e le neoavanguardie: il Novecento italiano viene privato della sua scenografia consueta, decostruito nei suoi miti, e riedificato a partire da una periferia letteraria (quella di Giacomo Noventa, di Roberto Roversi, di Nicola Chiaromonte o di Piergiorgio Bellocchio) dove l'incertezza rispetto allo statuto della poesia coincide con il coraggio di guardare in faccia lo stato delle cose, di ingaggiare con esso una inesausta battaglia. In questo personalissimo canone troviamo così scrittori "ibridi ma sobri, saturnini ma civili" che rifiutano sia gli alibi collettivi che i narcisismi mistificatori, mettendo in campo la loro soggettività senza assolutizzarla. Vediamo tre esempi. Cesare Garboli, con la sua refrattarietà agli stili estetizzanti e all'idea che l'arte rappresenti un valore in sé, è più un diagnostico che un critico, interessato allo "spazio che divide e lega vischiosamente poesia e vita". Rigoroso e immaginativo a un tempo, raggiunge il vertiginoso risultato di essere lo scrittore centrale della fin de siècle, e di esserlo in quanto autore di un'opera di servizio, immune dalla pseudocreatività che oggi dilaga come muffa. Ancora sul fronte critico-saggistico Pergiorgio Bellocchio, ultimo detentore di quel pathos satirico tipico di chi rifiuta di scendere nella mischia e sceglie così di mettersi "dalla parte del torto", è insieme al dimenticato Nicola Chiaromonte il modello sui generis da cui trarre l'esempio di un lucido sguardo sulla realtà, senza alibi e senza speranze di risarcimento. Per entrambi, come per Alfonso Berardinelli, il romanzo non è più il centro della letteratura, perché non è più il luogo in cui ci si interroghi sui rapporti tra arte e società, in cui si tenti una lettura del mondo. Nel saggismo à la Bellocchio sarà invece ancora possibile cogliere "il diavolo nel dettaglio, per leggerlo poi subito come sintomo di un ampio processo storico-sociale": in un avviso condominiale come in un dialogo captato sulla spiaggia, Bellocchio fissa lo spirito del tempo, più efficacemente che in qualsiasi romanzo, rimanendo sospeso tra malinconia e rivolta. E infine Franco Fortini e Giacomo Noventa, esempi di una volontà demistificatoria e antidemagogica, diretta verso la critica della società culturale che già negli anni cinquanta credeva di "correre con la maglia del marxismo e dello spiritualismo" senza accorgersi di "aver già stampato, sulla schiena, il nome di una ditta di tubolari della cultura o di dentifrici letterari". Il rifiuto delle ideologie coincide, per questi autori come per Marchesini, con il rifiuto di una critica apologetica o corporativa, e con una scelta a favore di una "ecologia dell'immaginario", uno sforzo a leggere gli autori proposti mai per se stessi, in direzione assolutizzante, ma sempre in rapporto al loro significato per noi, oggi: secondo l'insegnamento di Fortini e Noventa, Marchesini ci invita a "estrarre dalle parole dei maestri verità ed errori da misurare sul metro del presente" perché le verità dei maestri non proteggono i nostri abbagli.     Chiara Fenoglio  

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Conosci l'autore

Matteo Marchesini

1979, Castelfranco Emilia

Matteo Marchesini è nato nel 1979 a Castelfranco Emilia e vive a Bologna. Tra le sue pubblicazioni: le poesie di Marcia nuziale (Scheiwiller 2009), le satire di Bologna in corsivo. Una città fatta a pezzi (Pendragon 2010), i saggi letterari di Soli e civili (Edizioni dell’Asino 2012). Collabora tra l’altro con la redazione bolognese del “Corriere della Sera”, con Radio Radicale, “Il Foglio” e “Il Sole 24 Ore”. Atti Mancati (Voland 2013) è candidato al Premio Strega 2013.Del 2024 Iniziazioni. Racconti di sette età edito da Elliot.

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