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Raffo conferma la sua inconfondibile cifra poetica. Infatti, qui si entra subito in connessione con il suo sentire, in mezzo a mille metafore, sinestesie e giochi linguistici fantasiosi. Risuona l’eco del passato, veniamo trascinati dal flusso ininterrotto della levità musicale mescolata al rigore del verso alessandrino. L’effetto sul lettore è più dirompente rispetto alle prime raccolte. Ritornano alcuni dei temi cari alla sua giovinezza: le delusioni, gli inganni, la morte, il tenero incanto dell’infanzia. Col tempo le occasioni della vita offrono altri spunti: gli inganni, il dolore, la solitudine, gli amori mascherati, gli amori perduti e soprattutto quelli mai avuti e per sempre i più rimpianti. Si nota nell’insieme, una costante sottotraccia: la presenza raggelante del vuoto, del deserto dei sentimenti di cui Raffo si sente defraudato. “…dell’inganno/d’una fata morgana il lampo estremo/… (The Messenger). Come un indesiderato sedimento interiore arriva la consapevolezza fatale di un triste bilancio: “Abbozzi, frantumi, grisaglie/barlumi, miraggi, inganni dei sensi, segnali/fittizi, fumose avvisaglie … (da Inventario). Tra i nuovi versi, scritti in particolare stato di grazia, quelli dedicati alla madre si commentano da sé stessi con indicibili emozioni. In quell’azzurro spasimo (to mommy), è una poesia tanto struggente quanto terribilmente vera. “A volte sogno che sei ritornata/non ti vedo nel sogno ma so/che sei di nuovo a casa/in operose faccende affaccendata…/…e tu ti sveglierai sbarrando gli occhi/serrandomi a te nella morsa/ di quello spasimo azzurro/ quella morsa che non si è mai allentata…” I nuovi versi di Raffo insegnano a condividere un suo traguardo che da personale si può tradurre come universale: il deserto del cuore, la malinconia, le bufere della vita, sono da considerarsi un po’ come dei farmaci omeopatici. È attraverso di essi che a volte arriviamo a fissare la luce intermittente della Bellezza.
Recensione alla silloge "Il cuore deserto". "Tu, la grande assente ovunque presente: tetragona alle porte sei velo alla morte" (GF) Mentre in filigrana scioglie un inno alla vita, Raffo prende a gabbo la morte, neutralizzandone l'uncino. Nell'indefesso confronto con la Grande Assente, questa alla fine esce sconfitta dal leggero quanto acuminato stilo del poeta, ironico e pungente, molto più di quanto non sia "incisiva" la Comprimaria/Deuteragonista: al punto da vanificarne ogni velleità di supremazia. Alato si libra il canto di una delle penne più feconde, e, soprattutto, limpide nel declinare in poesia la vita, in tutte le sue epifanie. Il binomio/dicotomia "morte-vita" si stempera nei variegati colori della natura, nel digradare e sbocciare delle stagioni, nel raccontare dell'amore, il sentimento per antonomasia, che il cuore dello scrivano non ha saputo mai portare a compimento: pur spremendone, in parole di una purezza incantatrice, l'Essenza. Materia cervellotica, da "cage aux folles"? No, puro canto del cuore, trasumanante ancor più dell'amore "fisico". Perché le parole di Silvio Raffo sbucano improvvise da un silenzio, cui anelano far ritorno. Dal silenzio della vita, che porta con sé il significato dell'amore, le mille facce che si scompongono nella domanda capitale sul senso dell'umano tragitto. La risposta è nei versi, che tessono l'arazzo della silloge. Giuseppe Fedeli
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