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Per Minerbi (1936-2005) la traiettoria storica che dall'età dei Lumi conduce sino alla Rivoluzione francese non è un percorso enigmatico che unisce un punto d'arrivo e un punto di partenza tra loro inassimilabili. Tale traiettoria ha una logica e costituisce, per la maggior parte degli storici, un fatto storiografico consolidato. Non è un problema storiografico da scandagliare senza sosta, come la giudicano invece coloro che sono comprensibilmente assediati dalla non lineare natura del tragitto. In questo volume, che raccoglie saggi scritti tra il 1965 e il 1998 (con in mezzo dunque il tumultuoso bicentenario della Rivoluzione), sono i protagonisti culturali di un'epoca intera che emergono e che ci aiutano, peraltro mai annientando i nostri dubbi, a capire. Ed ecco allora Diderot, Galiani e la polemica sulla fisiocrazia, Quesnay e i presupposti dell'analisi economica ancora della fisiocrazia (all'origine, come su un altro versante Smith, dell'economia politica moderna), Rousseau politico con le questioni della divisione del lavoro connesse alla società civile, Condorcet (vero eroe-vittima emerso nel bicentenario del 1989) e il formidabile quadro storico dei progressi dello spirito umano, Sismondi, presente con un testo inedito, e il tormento delle costituzioni dei popoli liberi. Non è inoltre assente la storiografia contemporanea, e veramente penetranti sono alcune pagine su Furet e la sua "critica" (le virgolette sono di Minerbi) della Rivoluzione. Il fatto è che tra i Lumi e la Rivoluzione c'è una monarchia assoluta che non può essere riformata neppure se e quando il re, perdendo letteralmente la testa, coglie, delle riforme, barlumi di necessità. Vi è qui la "legge di Tocqueville". Gli stati dispotici, se braccano il cambiamento riformatore, si autodistruggono.
Bruno Bongiovanni
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