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Pensieri di un marito che ha sposato una donna fredda,calcolatrice e anaffettiva.Di cui il marito non riesce a fare a meno.Elise risulterà una donna forte e dall'erotismo indiscusso.la conversione religiosa finale la incattivira'ulteriormente.bella la penna dell'autore.
Recensioni
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Guido Ceronetti in Il silenzio del corpo (Adelphi, 1979) scrisse che "soppressi i combattimenti dei gladiatori, i cristiani istituirono la vita coniugale", e non saprei trovare una formula più energica per definire il nerbo delle Cronache maritali di Marcel Jouhandeau. Marcel Jouhandeau, insegnante in una scuola cattolica, grande prosatore, moralista infallibile e peccatore devoto ai propri peccati carnali, sposa Elise, una donna bella e tremenda, già ballerina di cabaret, e da sempre – come viene raccontato nel bellissimo Elise che accompagna l’edizione francese delle Cronache, purtroppo non presente nella traduzione italiana – assetata di sublime e catafratta in un carapace di egotismo.Le Cronache maritali sono appunto il lamento, il romanzo e il diario di questo matrimonio afflittivo e infrangibile; il legame che avvince gli sposi non è quello banalmente sensuale, ma sta nella sfida eroica e superba rappresentata dalla continuità coniugale – così come nel bellissimo diario spirituale in cui C.S. Lewis annota i rivolgimenti provocati in lui dalla morte della moglie, Diario di un dolore (Adelphi, 1990), il matrimonio viene rimpianto, e con quale strazio!, come la perdita di una perfezione e non come la rottura di una routine carnale e sociale. Marcel ed Elise hanno avuto in sorte una stessa qualità d’anima, vissuta però con stili diversissimi, e questa differenza scava degli abissi nelle loro vite; il loro matrimonio ha cadenze e ritmi quasi liturgici, ma di una liturgia che ora somiglia a un esorcismo e ora a quelle "messe tormentatrici" che si facevano dire nel Canavese con l’intenzione di nuocere a qualcuno.Elise, gonfia di tracotanza, di audacia e di ostinazione, declina tutti i modi della vessazione coniugale; la sua linea di condotta è l’implacabilità, e anche nel suo magnifico linguaggio affiorano tutte le forme del discorso che feriscono o zittiscono: ordini, aforismi, massime e sentenze; Elise è una virtuosa dell’"ultima parola". Elise soddisfa la sua voluttà di dominio svilendo il mondo circostante o, se non basta, annientandolo. Di fronte a questa strategia dell’umiliazione i gesti di Marcel, dopo le tempeste domestiche, si fanno maldestri, l’andatura titubante e la stima di sé più che incerta; il colpo è andato a segno e non gli resta che rimanere immobile, mineralibus persimilem, per esporre al cecchino la minima superficie possibile. Chiudendo la sua autobiografia, Jouhandeau scrive: "nel 1929, il 5 giugno, mi sono sposato", e subito matrimonio ed epitaffio coincidono.Ma Elise è anche un’inesauribile miniera di fascino. È fascinosa quando, seminuda e bella, innaffia il giardino con l’impaurito domestico, in brache di cuoio nei giorni torridi d’estate; o quando se ne sta seduta sulla scala di legno della scuderia (dove abita per poter affittare la casa grande) leggendo per ore, discinta e palpitante, il Vangelo o le Vite di Plutarco, e si rivela allora come un esemplare umano sopravvissuto alla "demolizione dell’eroe"; o quando, di notte, si accosta al marito affamato e privato di quiete e di caffè e lo prende tra le braccia per rubargli un po’ di calore e addormentarsi intiepidita. Al risveglio lo chiamerà "il mio sgorbio". La cordialità di Elise è strumentale, la sua intimità ha l’asprezza di un’ispezione e l’altro è solo un oggetto da soppesare. Maniaca della pulizia, in lotta spossante contro il pulviscolo per conquistare il perfetto lindore, spinge la sua ossessione fino a spolverare i gerani delle finestre.Ogni cosa diventa intoccabile, inusabile e la casa inabitabile. Jouhandeau deve imparare l’arte del randagio e del precario, e il suo star di casa è un martirio ben dosato.Provando invidia per la fede religiosa del marito, Elise si converte a un fervente cattolicesimo, dal quale, però, esclude la carità, non riuscendo a nutrire la più elementare simpatia per i suoi simili. In Elise rivive il passaggio traumatico dal lusso aristocratico alla ricchezza borghese. Elise mira al fasto, alla messa in scena, alla folle prodigalità per se stessa; ma questa propensione al lusso è contrastrata dalla spinta rivale che le viene dall’ascetismo borghese, e allora l’etica della manutenzione e l’estetica della brillantezza fanno sì che la sua vita sia un susseguirsi di corvées. Come in una giostra per bambini, le due Elise si succedono con il ritmo alterno: "in lei coesistono un forzato da fiera e una principessa, una specie di genio e lo scemo del villaggio, una cortigiana e una bandiera del puritanesimo", e vivere con lei è una vita da circo in cui a Jouhandeau è toccato il mestiere di trapezista.
recensioni di Merlino, G. L'Indice del 1999, n. 11
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