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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2016
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Un’analisi del mondo editoriale italiano attraverso un caso letterario discusso a lungo dalla casa editrice Mondadori. È anche un libro che parla di ossessioni, odio, malattia e ovviamente libri. Lo consiglio a chi vuole metter il naso nel mondo dove i libri possono nascere o non veder mai la luce.
Il libro si fa leggere tutto d'un fiato. Lo stile di Franchini è, come sempre, raffinato ma trasparente, e accompagna il lettore per tutta la durata del libro. L'obbiettivo dell'editore è, infine, morale, ma riesce a parlarne passando per una via tanto poco intrapresa e che di per sé meriterebbe attenzione: parlando del lavoro di ogni editore. Si mescolano con effetti sconcertanti su chi legge sadismo, pornografia, sogni di distruzione e riflessioni sulla naturale attrazione del male, creando un libro (o forse dovrei dire metàlibro) che va oltre se stesso.
Il libro del “reporter” Franchini è interessante da molti punti di vista, alcuni dei quali sfuggiti allo stesso autore. Tra questi sicuramente l’oggetto della sua indagine, quel Dante Virgili, che ha visto un solo importante libro pubblicato senza successo e poi una serie infinita di contatti con la Mondadori e gli uomini che la rappresentavano, dove umanità, egoismi, incompetenza, solidarietà si sono fusi per lui, Virgili, e gli hanno alleggerito il peso insostenibile dell’esistenza. Tutto ciò si legge e si deduce dal libro di Franchini che fa delle analisi psicologiche piuttosto arbitrarie senza concentrarsi abbastanza, psicologicamente, sulla sua “attrazione” per Virgili, che viene spiegata con categorie troppo “fredde” per essere credibile. Si evince, invece, una comunione con il “demone” Virgili, un modo di rincorrere qualcosa di sentito dentro di sé, o che si vorrebbe sentire, per assimilarsi all’uomo-scrittore tanto più ammirato quanto disprezzato, per far passare un disprezzo verso se stessi, un disprezzo ricco di autocompiacimento per essere il boia di tanti scrittori potenziali, ma con un unico grandissimo incubo, quello di essere uno scrittore mancato, un funzionario, piuttosto, colpevolmente innamorato del suo lavoro e delle miserie di questo. Il libro è carente proprio dal punto di vista dello scopo per cui è nato, troppo infarcito di immagini letterarie del tutto fuori luogo o di carattere aforismatico alla Pontiggia, vero modello del nostro. La cifra distintiva di Franchini è, però, la contraddizione (già incontrollata ne “L’abusivo”) legata con un cinismo sfacciato (qualità “letteraria” di cui il nostro reporter non sa regolare il dosaggio fino al “sadismo”), e il bisogno di analizzare è perso per strada: dopo i primi capitoli molti elementi sono solo presentati. Del tutto da dimenticare, infine, il goffo tentativo di far passare Virgili come un anormale per giustificarne l’opera. E Ni
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