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Un libro molto interessante. Purtroppo, in questa italietta clerico - fascista, le tesi dell'autore non hanno molto seguito...
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Storia davvero tormentata, questa del crocifisso. Sergio Luzzatto non ha fatto in tempo a stampare il suo pamphletche, in contrasto con le sue tesi, si sono espresse le massime autorità giudiziarie d'Italia e d'Europa. A marzo di quest'anno la nostra Corte suprema ha scritto la parola fine, nel circuito italiano, alla vicenda intricata (non rievocata da Luzzatto) del giudice Tosti. Anche lui aveva chiesto più volte, ma inutilmente, di togliere il crocifisso dalle aule di udienza del Tribunale di Camerino. Si rifiutò per circa un mese di fare il suo lavoro. Condannato in primo e secondo grado è stato poi assolto definitivamente nel 2009 dall'accusa di rifiuto di atti d'ufficio. Il Consiglio superiore della magistratura lo ha però messo fuori dall'ordine giudiziario e il ricorso contro la più grave delle sanzioni disciplinari è stato respinto perché una stanza senza crocifisso gli era stata messa a disposizione. Il disertore non poteva invocare a sua giustificazione la presenza del crocifisso nelle aule d'udienza del resto d'Italia e la potenziale violazione delle libertà altrui.
A sostegno della sua trama precisa e pungente, Sergio Luzzatto ha ricordato un altro caso: il rifiuto di Marcello Montagnana a ricoprire l'ufficio di scrutatore all'epoca obbligatorio del seggio elettorale n. 71 presso l'Ospedale Santa Croce di Cuneo, in occasione delle elezioni politiche del 1994. Quel gesto, contro l'uso del crocifisso come addobbo dello spazio pubblico, illumina un itinerario personale e familiare di resistenza all'oscurantismo di ogni stampo, condiviso dalla moglie, Maria Vittoria Migliano, anch'essa vittima dell'amore per la laicità.
Bisogna però ammettere, con l'autore, che il crocifisso-arredo simbolo religioso o identitario, testimone di storia o di cultura è riuscito a far convergere le opinioni più disparate. L'uomo di stato al di sopra delle parti, il filosofo contro corrente, il giornalista dalle carte che cantano, la scrittrice ebrea hanno chiesto che il sacro suppellettile fosse rispettato laddove era stato appeso. Tutta la gerarchia cattolica e quasi tutta la politica italiana hanno saputo così di non essere lasciati soli e, con loro, il maestro venerabile Licio Gelli, artefice del Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso.
L'ideale cavouriano, ripreso da Luzzatto, della separazione tra chiesa e stato, fondato sulla libertà della prima in quella del secondo, è tramontato sotto l'impellente bisogno di recuperare nella scatola degli attrezzi ecclesiastici i rimedi al vuoto che infesta la cosa pubblica. Forse è proprio per questo che il "muro bianco" fa impressione: anziché viverlo come una pagina su cui tutti sono autorizzati a scrivere, rivela l'assenza di propositi e di valori che dovrebbero connotare il bene comune. Ma è per questa ragione che il crocifisso è volato via dal capezzale della camera da letto: "Là dove era rimasto (là sì, davvero) per secoli e secoli della storia italiana, una generazione dopo l'altra, nel luogo deputato all'amore, al parto, alla malattia, alla morte".
Lo sa bene il sindaco di Saluggia, che nel 2009 ha obbligato tutti i locali di proprietà comunale a dotarsi di un crocifisso e ha formulato l'auspicio "che analoga iniziativa venga adottata anche in tutti i locali a uso privato, abitazioni comprese".
Onestà vorrebbe che si dicesse: il crocifisso è un simbolo della religione cattolica. Punto. E da qui riflettere sulla decisone della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani che ha definito per sempre il percorso giudiziario innescato dalla signora Lautsi, madre di due bambini che nel 2002 frequentavano una scuola di Abano Terme. Rovesciando la sentenza del 2009 della II Sezione della Corte (di cui l'autore dà conto), la Grande Camera ha detto che non vi è una nozione comune di laicità in Europa; che di conseguenza il mantenimento del crocifisso ricade nel margine di apprezzamento dello stato e che la Corte interviene solo contro l'indottrinamento a danno delle minoranze: inesistente nel caso concreto perché il crocifisso sarebbe solo un simbolo religioso "passivo".
Cosa succede quando nello spazio pubblico penetra la dimensione del religioso? In quasi tutti gli stati lo spazio pubblico, oggi, non è in grado di produrre dei processi identitari condivisi. La dimensione della fede viene allora riabilitata a una funzione essenzialmente morale a prezzo di una scissione del discorso religioso. Se si sostiene che la religione non è solo manifestazione della fede, ma è anche la manifestazione di un percorso storico, culturale e artistico, essa diventa allora espressione di un'identità messa in pericolo tutte le volte che qualcuno si oppone alle interferenze del religioso nello spazio pubblico. Fede e cultura religiosa vengono così separate con l'esplicita finalità di garantire un cemento identitario anche per chi dichiara di non credere e per difendersi dalle accuse di neo-confessionalismo ("Non si vuole imporre la fede ad alcuno").
Nello spazio pubblico di tutti come la piazza la divaricazione concettuale tra fede e cultura religiosa ha però mortificato anziché arricchire la libertà, perché la proclamazione di un'identità cristiana "culturale" è servita per contrastare identità religiose estranee alla tradizione culturale del luogo e a giustificare l'ostilità all'erezione di luoghi di culto di religioni diverse.
Nello spazio pubblico per tutti come la scuola il corpo del Cristo morto sulla croce, spogliato della fede pietosa, viene recuperato per proteggerlo dai corpi estranei che lo hanno invaso, impugnato come simbolo di una supremazia culturale "non religiosa".
Sono d'accordo con Luzzatto della necessità di rifiutare l'imposizione, sotto qualsiasi forma, della simbologia religiosa nello spazio pubblico. D'altra parte, non possiamo essere indifferenti alla domanda crescente di valori spirituali che attraversa la società odierna.
Per uscire dalla contrapposizione schematica tra uno spazio pubblico confessionale e uno spazio pubblico asettico, Jean-Marc Ferry propone delle procedure di "consenso per confrontazione" nelle quali misurarsi non attraverso la simbologia ma attraverso l'argomentazione: "L'esplicitazione aperta delle proprie convinzioni ha di per sé un valore morale perché risulta meno violenta di un agire strategico mascherato e tenuto sotto traccia". In questo senso le tradizioni religiose possono anche avere una funzione critica ed etica verso la legge civile ma non possono, mai, rivendicare un ruolo coattivo. Il valore religioso dovrebbe entrare nello spazio pubblico per quello che è e non travestito da obbligo fondato su radici storico-culturali. Senza dimenticare che è sempre nello spazio pubblico che si annidano i maggiori pericoli per la libertà di coscienza perché la "capacità interna di coscienza è un oggetto delicato e vulnerabile. Necessita dice Martha C. Nussbaum di sostegno da parte delle leggi e delle istituzioni. Poiché è degna di eguale rispetto è anche degna di eguale sostegno".
E se in luogo di un crocifisso, di un muro bianco o, come suggerisce Amos Luzzatto, della doppia elica del Dna, ci fosse un semplice specchio nel quale permettere di riconoscerci tutti?
Marco Bouchard
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