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Ci sono fenomeni in atto che avvengono ineluttabili, indipendentemente dall'averne coscienza o meno, dall'accettarli o meno, dal parlarne o meno. Uno di questi è la desacralizzazione del Cristianesimo occidentale (nella fattispecie del Cattolicesimo) che, partendo da una base idealistica progressivamente sempre più sganciata dal sacro, lo fa divenire "agenzia etica", come correttamente definisce Galimberti. Trovo con mia piacevole sorpresa che il filosofo afferma dei fenomeni oggettivamente in corso, quali lo svuotamento di prospettiva trascendente nel Cristianesimo occidentale, nell'apparente indifferenza del mondo laico e clericale odierno. Affermare ciò, non significa essere "contro il Cristianesimo" ma mostrarne un lato problematico nel presente contesto. Già Nietzsche aveva parlato di una "morte di Dio" all'interno del mondo cristiano del suo tempo. Oggi questo processo si è notevolmente accellerato per cui tale religione ha il "cielo vuoto", come dice Galimberti e tende sempre più a non collegare o non operare religiosamente con il Cielo - il termine latino "religàre" significa, appunto, collegare o vincolare con la trascendenza. Piuttosto di prendersela con questo filosofo, alcuni farebbero bene a considerare seriamente certe basi sulle quali si appoggiano. Negare la realtà non significa, infatti, bloccare fenomeni problematici inesorabilmente incombenti. Tali fenomeni non aspettano che di essere riconosciuti, per essere in qualche modo fermati o invertiti. Segnalo questo dato positivo, anche se non concordo su qualche altra valutazione di Galimberti sul Cristianesimo.
Credo che il libro sia un assemblaggio di saggi scritti in tempi diversi, perché spesso si ritrovano concetti ripetuti. Perciò mi pare mancare un'armonia generale,e alcune cose non mi son rimaste chiare. Galimberti è notoriamente ateo e ispirato alla cultura greca, che è ricordata come accettazione della morte,la quale facendo perire i singoli garantisce la continuità della vita come fenomeno.Il cristianesimo invece è visto come la religione che spazza via la visione greca, per lasciare il posto ad una dottrina che scorge nella morte il male, conseguente al peccato originario, e vede Dio secondo la metafisica greca, come ente che garantisce la stabilità del mondo, e non sarebbe a parere di Galimberti il Dio di Abramo, il vero Dio celato nel sacro, dimensione dove bene e male coabitano, ed il bene divino non corrisponde necessariamente al bene secondo l'uomo, che non vorrebbe mai ammazzare il proprio figlio come comandato dall'alto, e ritiene di meritare la salvezza per le opere, e non per grazia. Questo Dio di Abramo è confermato anche da Gesù quando dice "allontanatevi da me operatori d'iniquità". Ma già qui mi vengono i primi dubbi. Galimberti cosa vorrebbe, ripristinare gli antichi riti di sacrificio, e le feste orgiastiche? Invece secondo lui il cristianesimo riconoscendo in Gesù il Dio fatto uomo ed entrato nella storia, ha desacralizzato il sacro, affidando la religione al potere della ragione, e inducendola a mera prescrittrice di norme morali.A me modestamente pare difficile scindere un insegnamento pure morale dalla predicazione di Gesù,e non credo che la Chiesa cattolica voglia sostituirsi al giudizio di un Dio.Nè mi pare tracotante aspirare all'immortalità,come afferma l'autore.Ho dubbi anche sull'esatta interpretazione delle religioni orientali,che a detta dell'autore non vorrebbero cambiare il mondo come fa il cristianesimo,ma allora cosa sarebbero,una mera esperienza mistica individuale? Insomma un libro interessante, ma da leggere con cautela.
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