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“Io sono un poeta messo al bando nel cuore dell’Europa, / Europa cannibale e allegra”. Con questi versi si apre l’ultimo libro di poesie di Gëzim Hajdari, pubblicato da Ensemble con testo a fronte. Hajdari, nato nel 1957 in Albania, dal 1992 è esule in Italia. Orgoglioso della sua “vita profetica”, delle sue “utopie remote”, Hajdari non nasconde di covare sotto la pelle “gemiti gonfi di rabbia” per essere stato costretto a lasciare il suo paese, senza riuscire a integrarsi completamente nella nazione ospitante. Il titolo stesso del suo libro ribadisce ciò che l’autore sente come una condanna: il proprio destino di emigrato, straniero a se stesso e agli altri. Ne sono un evidente esempio i reiterati richiami alla profonda ingiustizia subita solo per il fatto di essere nato in una nazione e in un periodo storico svantaggiato, rispetto alla privilegiata situazione democratica ed economica del resto dell’Europa: “Perché mi hai fatto nascere albanese, cieco e senza memoria? // Condannato all’esilio da un altro esilio, / lontano dalla terra del crimine. Dentro di me fuochi, spari, argilla e sangue”. L’odio per la corruzione imperante in Albania è esibito quanto il disprezzo per l’opulenza occidentale, e altrettanto costante è il ricordo dolente e iroso della sua terra, di un sud arido e martoriato, degli anni bambini tormentati dalla miseria. Le figure della madre, del padre e dei quattro fratelli, costretti a una vita di lavori duri nei campi, rassegnati a una violenza domestica irrimediabile, si confondono con il rimpianto del poeta, fiero del coraggio dimostrato nell’emigrare, e insieme turbato dalla consapevolezza di aver tradito la sua gente, scegliendo per sé il prestigio di un ruolo intellettuale. Nella sua approfondita e partecipe prefazione al volume, Fulvio Pezzarossa definisce Gëzim Hajdari poeta delle non-patrie, che “ripercorre itinerari educativi e letterari mai ristretti al contesto privato, e sempre nutriti da valori di generosa solidarietà tra i viventi”.
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