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In numerose organizzazioni i processi creativi sono proceduralizzati in forma di modelli o tecniche didattiche che danno luogo a fenomeni di routine nella gestione della creatività. Grazie ad osservazioni partecipanti presso imprese e istituti di ricerca (n. 35), interviste in profondità ad artisti, scienziati, ricercatori, insegnanti e manager (n. 60), nonché a un censimento analitico di tecniche di stimolazione del flusso creativo (n. 200) sono emerse considerazioni strategiche sulle modalità di utilizzo dei modelli, ma anche un paradosso: le procedure generano regole in grado di disattivare le procedure da cui derivano. Ogni tecnica censita presenta elementi ricorrenti nelle altre: regole comuni dell’opposizione, della combinazione e della separazione. Tali regole, latenti, determinano il comportamento creativo e sono innescate dal rapporto circolare e ricorsivo tra pensiero e linguaggio; ovviamente ciò non basta a spiegare il fenomeno: è impossibile accantonare - dal processo creativo di scoperta - la dimensione ambientale, la biografia dello scopritore, la stratificazione delle conoscenze pregresse, le motivazioni personali, il gruppo, i fattori casuali che innescano un nuovo modo di procedere e, infine, la manualità. Sta di fatto, però, che la creatività è figlia di un uso ragionevole e cibernetico di regole più di quanto si pensi. La creatività non è rara, ma “normalmente inevitabile”, un fenomeno evolutivo del vivente. Lo stallo creativo risiederebbe, allora, nelle organizzazioni che non favoriscono una didattica della creatività. L’umanità non ha bisogno del genio irrazionale e solitario (che non esiste in senso assoluto, poiché percepito tale in base al contesto), ma di una socialità geniale, meglio: di una genialità sociale, capace di produrre talenti, perché in grado di stimolare talento.
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