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Mancava, nella pur vasta produzione storiografica dedicata ai principali ideologi del ventennio, una "biografia politica" di Alfredo Rocco. È quanto si propone il volume di Rocco D'Alfonso, nella convinzione che operando "una ricognizione complessiva della sua vicenda di intellettuale politicamente impegnato" sia possibile restituire l'effettiva portata e l'eccezionale organicità del progetto di stato forte attorno a cui il giurista napoletano lavorò per tutta una vita, nelle vesti di teorico e docente del diritto e dell'economia, di attivista, pubblicista, deputato e, non da ultimo, ministro della Giustizia fascista. La valenza antiliberale e antiliberista della concezione statuale di Rocco, sostiene l'autore, andò delineandosi fin dai tempi delle giovanili simpatie radicali, e fu alla base della ricerca di interlocuzioni alternative al giolittismo che lo portarono ad aderire, nel 1913, all'Associazione nazionalista italiana e a farsi promotore, sul principio del 1923, della confluenza di quest'ultima nel Partito nazionale fascista. Prima ancora della marcia su Roma, il partito di Benito Mussolini gli apparve infatti come la forza politica idonea a tradurre in programma di governo la visione di uno stato autoritario, produttivista ed espansionista, sistematizzata negli anni della militanza nazionalista. Uno "Stato di autorità" alla realizzazione del quale egli apportò - fino al 1932, quando venne estromesso dalla carica di guardasigilli - un contributo fondamentale, come testimoniano le "leggi di difesa" e le "leggi fascistissime" (1925-1926), con la cui emanazione gli storici sono soliti far cominciare la costruzione l'organizzazione della dittatura totalitaria, e i numerosi provvedimenti che scandirono l'instaurazione dell'ordinamento sindacal-corporativo.
Maddalena Carli
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