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recensione di Pianciola, C., L'Indice 1998, n. 3
Credo che un giovane, a meno che non si specializzi in letteratura francese contemporanea, di Paul Nizan non sappia oggi neppure il nome. Eppure in Italia i suoi scritti ebbero una certa risonanza. Nel 1961 Mondadori pubblicò la traduzione di Daria Menicanti, ora riprodotta, e "Aden Arabia", tagliente pamphlet del 1931 riproposto da Maspero con la premessa di un appassionato saggio di Sartre sul compagno di studi al liceo e all'École Normale.
Sartre rievocava, contro il se stesso di allora, refrattario alla politica, la figura dell'amico, che nel 1927, a ventidue anni, era tornato da Aden, dove aveva toccato con mano lo sfruttamento colonialistico, con una volontà intransigente e totalizzante di impegno ("Che si abbia il coraggio di essere grossolani! (...) Vivrò tra i nemici (...) Non bisogna temere di odiare"). Si era iscritto al Pcf, diventandone uno degli intellettuali di maggiore prestigio, collaboratore dei quotidiani e delle riviste del partito, e condividendone le scelte politiche e la fedeltà all'Unione Sovietica, fino alle dimissioni nel 1939, sconvolto dal patto Molotov-Ribbentrop e dall'invasione della Polonia. A questo punto venne orchestrata una campagna di denigrazione nei suoi confronti ("l'informatore della polizia Paul Nizan", scriveva Maurice Thorez sulla stampa clandestina) e ci fu una "damnatio memoriae", nella quale si distinsero Louis Aragon e il filosofo Henri Lefebvre. Nizan era morto trentacinquenne il 23 maggio del 1940 durante la ritirata di Dunquerque.
Bisognerà aspettare il 1978 perché "L'Humanité" inizi una timida riabilitazione. Ma intanto Nizan era diventato un autore ristampato e letto nella "nuova sinistra", anche se, come sottolinea De Luna nella postfazione, per la maggior parte dei militanti di quest'ultima, a differenza di Nizan, era tutto il movimento in atto che doveva abolire lo stato di cose presente, e veniva generalmente rifiutato un modello precostituito di nuova società. Come scrisse Rossana Rossanda nel 1970, presentando presso La Nuova Italia "I cani da guardia", feroce attacco del 1932 all'idealismo dei professori dell'Università francese, "la milizia di Nizan è una milizia datata", inscritta nel contesto della Terza Internazionale tra le due guerre.
In Italia comunque una "fortuna improvvisa e perfino eccessiva, concentrata (anzi congestionata) nel breve periodo 1970-1974" (Bellocchio) ci fu, come attestano gli studi (Franco Fè, "Paul Nizan un intellettuale comunista", Savelli, 1973) e le traduzioni, tra cui spicca il libro più bello e vivo di Nizan: quell'"Antoine Bloyé" (Bertani 1973, ed. orig. 1933) che racconta in modo esistenzialmente dolente e sociologicamente preciso la biografia del padre, che "tradisce" la sua classe d'origine diventando un dirigente tecnico delle ferrovie, trasmette la sua infelicità al figlio e lo impegna inconsapevolmente nel "tradimento" inverso.
I temi della fedeltà e del tradimento, dell'infelicità dei giovani e della vischiosità delle famiglie ("Che cosa potente e inflessibile è mai una famiglia! È tranquilla come un corpo, come un organismo che si muove appena e respira quasi in sogno sino al momento del pericolo, ma è pieno di segreti, di risposte latenti, di un furore e di una rapidità biologiche...") sono al centro anche di "La cospirazione", storia delle astratte ribellioni di cinque giovani della generazione romantico-surrealista della seconda metà degli anni venti.
"Sensibili al disordine, all'assurdo, agli scandali logici piuttosto che alla crudeltà, all'oppressione", decidono di dare vita alla rivista "La guerra civile", mettono in atto un grottesco piano di sottrazione di documenti militari in vista di una rivoluzione che pensano imminente, e falliscono non perché la cospirazione sia stata scoperta, ma perché perdono per strada le ragioni della congiura con cui hanno cercato di mettersi fuori dall'ordine stabilito e di rendersi impossibile il rientro nella normalità ("un giovane si crede così poco stabile nella vita che vuole incatenare violentemente l'avvenire...").
Dei tre personaggi principali, Bernard Rosenthal, l'ideatore della cospirazione, invece di portarla avanti si innamora ciecamente della cognata Catherine, ma quando questa rientra in seno alla ricca famiglia borghese e lo abbandona si uccide, nell'inutile tentativo di riscattare con la nobiltà della tragedia il fallimento di una vita; Serge Pluvinage, figlio di un funzionario di polizia, pieno di rancore verso i compagni a cui per nascita e doti si sente inferiore, cede alla "spaventosa fatalità" che lo riporta nel mondo del padre, denuncia e fa arrestare un dirigente del partito comunista che vive in clandestinità, sapendo che "il tradimento è irrimediabile come la morte"; Philippe Laforgue sfiora anche lui la morte e, attraverso il crudele rito di passaggio della malattia, alla fine, in pagine molto alte e serrate, si congeda da un'adolescenza prolungata artificialmente dagli studi e "rinasce" uomo, con l'amara consapevolezza dell'irrealtà irresponsabile degli anni trascorsi.
"La cospirazione" uscì nel 1938, ebbe un buon successo e un importante premio letterario; nello stesso anno uscì "La nausea" di Sartre, che le dedicò una bella recensione (si può leggere in "Che cos'è la letteratura?", Il Saggiatore, 1995), nella quale, dietro gli "eroi irrisori" del romanzo, che "a tratti sembrano unicamente espressione, tra le tante, della loro famiglia e della loro classe", ritrovava "la personalità amara e cupa di Nizan".
Non c'è bisogno di prendere tante cautele e distanze, come fanno Bellocchio e De Luna in questa riedizione. Il libro è certo lontano e non è la cosa migliore di Nizan, ma non lascia indifferenti incontrare quella "personalità amara e cupa" e imbattersi in frasi come questa: "Ancora non sapevano quanto il mondo sia pesante e molle, come poco assomiglia a un muro che si voglia gettare a terra (...) ma piuttosto a un ammasso gelatinoso senza capo né coda, a una specie di grossa medusa con gli organi ben nascosti". Nizan, al di là e contro le sue pretese certezze, ha ancora qualcosa da dirci.
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