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Lo svolgersi dell'argomentazione parte da un'interessante analisi semantica e concettuale dei termini da adottare per spiegare in che modo diventa necessaria l'etica nell'epoca attuale. Il termine globalizzazione è fuori gioco perché rimanda ad una tesi economica legata perlopiù ad una strategia di mercato; anche multiculturalismo risulta pregiudicato dalle politiche legate alla gestione delle differenze culturali in tutto il Nord America; pertanto l'argomentazione sarà svolta sotto l'insegna del cosmopolitismo, termine di per sé non originale, infatti è evidente il sostanziale debito kantiano, ma che si presta bene ad una risemantizzazione alla luce della consapevolezza del pluralismo postmoderno. Contro lo scetticismo e il relativismo morale degli antropologi, opzione che egli riconduce non senza forzature al positivismo logico di tradizione analitica, e contro l'universalismo fondamentalista della verità forte, Appiah propone un atteggiamento morale fondato sulla tolleranza, sulla presa d'atto del pluralismo culturale come ricchezza e sul principio del fallibilismo, qualcosa di molto vicino alla proposta teoretica del pensiero debole. Con questi tratti, dunque, il cosmopolitismo di Appiah, che ammonisce dalle insidie del linguaggio e tenta di superarle, valorizza enormemente il ruolo della conversazione, del dialogo, dello scambio culturale che genera ibridazioni e métissage. Il volume si presenta con uno stile molto narrativo, denso di esperienze cosmopolite, tipiche di un intellettuale vissuto al confine tra la cultura africana e quella americana, strategia che, di fatto, ne rende piacevole la lettura, anche se probabilmente sarebbe stato più proficuo, all'occhio del lettore continentale, qualche approfondimento specifico sull'opzione dell'etica cosmopolita.
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