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Su di uno sfondo distopico alla "Brazil" (1985) di Terry Gilliam, l'immaginifico Tan è come se desiderasse rivelare in queste pagine un profondo inno alla spontaneità, alla curiosità, all'immaginazione! Un incoraggiamento a non perdere questo triplice sentiero in una realtà che alle volte può mostrarsi in tutta la sua anomalia e che, come contraccolpo, si può rilasciare il proprio sincero essere, ascoltando od osservando l'intorno che con la sua celata dolcezza può ricondurre nell'animo di ognun di noi proprio quella "cosa" smarrita...
Correva l’anno 2017 quando veniva pubblicata questa storia, dalla quale è stato tratto anche il bellissimo cortometraggio Oggetti smarriti che nel 2010 vinse l’Oscar : un ragazzino, mentre si trova su una spiaggia, trova un’enorme cosa meccanica, un po’ a forma di teiera, che però è sola, triste e smarrita. Affascinato dalla sua bizzarria, decide di non poterla lasciare lì e la porta prima da un suo amico, per vedere se almeno lui riesce a spiegargli cos’è, e poi a casa dai suoi genitori, che vi prestano attenzione giusto un attimo (per via dei piedi che puzzano, gli dice sua mamma). Non gli resta, infine, che cercarle un posto adatto dove poter stare, in città. Come al solito, Shaun Tan affronta in modo eccelso le tematiche (a lui care) della diversità e della solitudine, della stranezza e del mistero, lasciandoci all’ultima pagina un certo senso di malinconia misto a tenerezza, affatto spiacevole e che ci fa sorridere.
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