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Difficile commentare questo lavoro. Indubbiamente originale nell’ambientazione e nelle immagini di vita vissuta che offre al lettore. Anche scorrevole nella parte centrale, dove assume le connotazioni di un semithriller. Si legge bene, ma nel complesso non mi ha convinto del tutto: alcuni personaggi troppo sopra le righe e/o troppo poco approfonditi, un finale (in parte sospeso tra sogno e realtà) che non aiuta a capire il messaggio centrale (politico?) dell’autore.
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Yehoshua Kenaz, tra i massimi esponenti della letteratura israeliana contemporanea, descrive in Cortocircuito (la cui edizione originale conteneva anche il titolo Landscape with three trees, di futura pubblicazione in Italia sempre per nottetempo) l'esistenza quotidiana di un gruppetto di abitanti della città in cui l'autore stesso da tempo vive, all'epoca della prima guerra del Golfo: Tel Aviv.
I personaggi, quasi dei tipi, sono quelli di un condominio, microcosmo che racchiude in sé la lotta personale di ognuno contro i propri fantasmi e, soprattutto, contro una situazione bellica di cui nessuno, singolarmente, si ritiene responsabile. Ognuno vive solo il proprio dramma, in una mancanza pressoché totale di comunicazione, finché un incendio, che causa la morte di una vecchietta, innesca reazioni personali e interpersonali dalle quali emergono, come attraverso il velo di Maya, spiragli di intimità nascosta e repressa.
Il senso di straniamento che ogni personaggio prova, e trasmette al lettore, si concretizza in visioni allucinatorie e vendette quasi oniriche, e pare affievolirsi nel momento in cui tutti si ritrovano lungo le scale prima del funerale della vecchia, quasi che il ritrovarsi in un luogo comune permetta di ritrovare la propria identità attraverso il rapporto con gli altri. Ma la commozione privata del momento non basta a cancellare Tel Aviv e ciò che essa rappresenta, agli occhi del mondo e soprattutto della sua gente. Ciò che esplode, insieme all'incendio, è il sospetto, quel sospetto lacerante che fa dimenticare la fiducia personale per lasciar trionfare la netta e onnipresente distinzione tra israeliani e palestinesi, tra ebrei e abitanti dei Territori. E in questa situazione di incomunicabilità totale, in cui ognuno perde la propria individualità per diventare semplicemente palestinese o israeliano, le accuse rimbalzano e prendono forme diverse, in un riflesso di colpe e responsabilità reciproche e complementari, da parte di entrambe le fazioni.
Così, nell'assoluta impossibilità di individuare singoli colpevoli in un conflitto che genera soltanto vittime, la ricerca resta vana, la soluzione introvabile: l'unica realtà è quella della violenza, la stessa con la quale, come in un'allegoria, il gattino rosso del condominio viene sbranato dai gatti del quartiere, condannati a cibarsi di immondizia e a sopravvivere secondo la legge del più forte.
Francesca Ferrua
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