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recensione di Puccini, D., L'Indice 1989, n. 1
Questo romanzo storico di Valle-Incl n è del 1927: anno in cui, com'è noto, la generazione di Garcia Lorca celebra l'anniversario della morte di G¢ngora e s'accende una bella fioritura poetica, che porta anche il segno di chiari fermenti d'innovazione, rivoluzione e avanguardia. E chi con più urgenza avvertiva allora il bisogno di dissacrare o demolire le vecchie strutture e convenzioni (per esempio, Rafael Alberti) sentiva anche molti tratti d'affinità con quel vecchio scrittore: il Valle-Incl n ultima maniera, quello delle farse più amare e mordenti e del grottesco più accentuato. Non conosco a fondo la critica su questo autore, ma mi risulta che già Paul Ilie, nel suo libro sulle "modalità surrealiste" in Spagna (che è del 1968), aveva scoperto saldi legami tra Valle-Incl n e le prime avanguardie. Più precisamente, a proposito di questo romanzo singolarissimo e del "Tiranno Banderas", ritratto immaginario e molto stravagante di un dittatore sudamericano, e soprattutto nei suoi "esperpentos" (le farse ora evocate), mi sembra inevitabile parlare di espressionismo, di uno speciale espressionismo di marca ispanica. Mi spiego: il balletto dei potenti che Valle-lncl n inscena qui, con tinte cupe e caricaturali, e che intitola, non a caso,"La corte dei miracoli", trova le sue radici nelle "danze della morte" medievali, il cui nucleo stava nel memento mori, nella morte che aspettava tutti re e sudditi, potenti e sottoposti, ricchi e poveri- ma naturalmente in modo spietato e fatale ricchi e potenti. Insomma: la danza macabra di Valle-lncl n, il suo spirito sarcastico e deformante, che ne "La corte dei miracoli" indugia senza misericordia sulla bruttezza morale e fisica, sui potenti corrotti e sui poveri superstiziosi e brutali, richiamano un tipo di espressionismo di cui forse si deve ancora scrivete la storia o inventare una genealogia. (In Spagna, prima responsabile delle sue stesse pittorescherie, si è sempre preferito attribuire a localismi e folklore anche ciò che appartiene ad influenze allogene e d'avanguardia). Si tratta, penso, di una variante che ha contatti solo trasversali con l'espressionismo "autentico" di matrice germanica, ma che di certo è presente nella pittura "nera" di Goya e nei suoi Caprichos, come anche in alcuni quadri di Solana e di Zuloaga (e meglio ancora nelle "fanciulle d'Avignone" di Picasso, come già rilevato da Mittner) nonché in qualche altro scrittore minore o secondario. (Molto gusto pittorico c'è in Valle-Incl n: basti pensare alla descrizione del treno che percorre il deserto delle povere campagne andaluse sotto la luna: ed è un treno lussuoso, pieno di aristocratici che fuggono da Madrid, con un carico di servitori, di cani e di cavalli, verso "La riserva delle querce").
Così quando lo scrittore gallego progetta una serie di romanzi storici che dovrebbero dipingere con ambizioni balzacchiane e galdosiane la Spagna moderna, sceglie appunto come materia del suo narrare il periodo più oscuro e turbolento della storia spagnola: quello che va all'incirca dal 1833, inizio delle guerre carliste, fino al 1868, durante il regno di Isabella II, e oltre. "La corte dei miracoli", primo della serie, è tutto centrato sulle vicende contorte che accompagnano quel regno. Dello stesso ciclo (intitolato al "Ruedo Ibérico", la Arena Iberica) egli riuscì poi a scrivere solo altri due romanzi: "Viva mi dueno" ("Viva il mio padrone") e "Baza de espadas" ("Briscola di spade"), che però rimase incompiuto. Dentro quell'epoca oscura e turbolenta - tra lotte dinastiche, corruzione, sciovinismo, nepotismo, assolutismo, violenza, miseria e cupo clericalismo - Valle-Incl n immerge il suo sguardo inesorabile, tanto che "dal chiasso e dal tafferuglio di questa vena esperpentica - come ha scritto Pedro Salinas - esce qualcosa di più che un esercizio estetico: sorgono, tra tanta copia di sensualità, pallidi e scarniti, i fantasmi intellettuali e i concetti del '98, il complesso della decadenza spagnola". Ovvero, in altre parole: l'impegno morale e politico che la generazione del '98 applicò fervidamente nel rintracciare le ragioni della decadenza spagnola e per iniziare la rinascita con occhi sgombri da ogni pregiudizio e con animo laico, critico e innovatore. Non a caso uno dei personaggi de "La corte dei miracoli" considera il "Don Chisciotte" una sorta di romanzo sovversivo: e proprio il "Don Chisciotte" e il suo spirito critico implicito furono presi ad esempio dagli uomini del '98: Miguel de Unamuno e Antonio Machedo tra i primi.
Due sono gli spazi geografici che delimitano e caratterizzano il romanzo: il primo è Madrid, quale sede della corte (corte come reggia e corte come cortile) e di una vita notturna tra bordelli e osterie (tra bordelli e osterie si consuma l'orgia dei senoritos aristocratici che, sicuri della impunità, uccidono una guardia, gettendola dalla finestra, solo perché colpevole d'averli ostacolati nelle loro malefatte). Il secondo è l'Andalusia, terra di contadini poveri e di gitani, di banditi e di sequestratori, e "riserva di caccia" e di emozioni violente, nonché di sfarzo da latifondisti dei ricchi madrilegni.
La traduzione, pungente e aggraziata, di Maria Luisa Aguirre D'Amico, già curatrice di due opere di teatro di Valle-Incl n ("Luci di boheme" e "Divine parole"), assicura al libro una buona e proficua lettura.
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