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Quali idee possono avere in comune il vicedirettore dell''Economist', un economista ungherese più liberista di Walras, uno dei protagonisti dei tentativi italiani di programmazione economica, un banchiere socialista francese, un sociologo svedese nemico dello stato d'assistenza, un filosofo della politica italiano e i cooperatori di Ravenna? Ben poco, si direbbe, e quel poco assai vago. Eppure questo libro fatto di contributi così disparati, nato da un incontro un po' miracoloso, proprio a Ravenna, fra menti apparentemente lontane fra loro, crediamo possa mostrare che l'elemento comune c'è, ed è consistente. Si potrebbe descriverlo, in via provvisoria, come la convinzione che oggi una cooperazione economica efficiente presuppone una competizione, e quello strumento di competizione autoregolata che è il mercato. E che, viceversa, mercato e competizione si possono realizzare al livello più alto solo se l'imprenditorialità gioca su uno sfondo di cooperazione, e non in termini di monopolizzazione burocratica e/o privatistica dei fattori che stanno alla base del competere. L'idea stessa di cooperazione, difatti, è stata vista per lungo tempo da sinistra, ma anche da destra, come un'idea antagonista al mercato capitalistico e allo schema di competizione che vi è implicito. Un simile punto di vista aveva le sue ragioni, ma queste ragioni si sono modificate nel loro percorso storico. E' via via emerso un altro punto di vista, dal quale cooperazione e competizione possono essere considerate in modo complementare, e non solo antagonistico.
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