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Non consigliato agli psicologi: penso che di storie così ne sentano già abbastanza, ma forse non raccontate così, con lo stile di questo umorista. Un sadico buffo incatatore, consigliato ai lettori masochisti. Storie di tutti i giorni, di tutti i paesi: storie particolari quanto universali che ci fanno pensare "così è la vita, che fare?" Niente da fare.
Uno sguardo pieno di poetica tenerezza sul "mondo perduto" della cultura yiddish, che evoca nel lettore serenità e rimpianto al tempo stesso.
Pur in tutta la sua linearità di autore di novelle e drammaturgo e scrittore di monologhi, aldilà del suo franco humour e del suo stile quasi impoetico, naturalistico, egli rimane davanti agli occhi dei ricercatori un enigma. Che è un po’ l’effetto che fa la sua scrittura, dove aleggia uno splendore poetico all’interno di un tessuto quotidiano, una bellezza nuova e insolita nella ripetitività dei giorni, che dà spaesamento e ammalia, per renderci infine conto, grado a grado, di essere in viaggio verso il Giardino dell’Eden. Come i racconti di Twain sul sud americano, anche la rappresentazione di Sholem Aleykhem degli shtetl dell’Europa dell’est – l’Europa scomparsa – entrarono a far parte della memoria collettiva; in questo aiutati dalla versione musicale del romanzo di Tewje il lattaio che, con il titolo “Fiddler on the Roof”, nel 1964, divenne un successo mondiale. Ma proprio il grande successo di questa opera eclissò le restanti scritte da Aleykhem, facendolo passare alla storia, a dispetto del suo ricco opus (28 volumi nell’edizione principe edita a New York, 1917-25), come l’autore di quest’unico capolavoro. E sopra tutto nascose al grande pubblico degli anni a seguire l’autore umoristico per eccellenza della letteratura mondiale. Il lettore italiano, però, ha solamente da riprendere in mano il suo libro “Un consiglio avveduto” per rendersene pienamente conto. Lo humour, il senso del brillante chiacchiericcio teso a uno scopo indicibile ma finemente comico, fu il nerbo principale della sua scrittura che ebbe come motto “il riso fa bene, lo prescrive anche il medico”; questa inclinazione rese per quanto in suo potere la sua esistenza“piacevole e agreabile” (l’espressione è di Ottiero Ottieri) e semplificò la sua arte, fatta quanto la sua vita inestricabilmente di tragedia e di riso.
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