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Finalista al premio Viareggio-Rèpaci 2020, sezione Poesia
Un poeta di oggi, «consegnato al silenzio» nella babele assordante del mondo, riporta in vita voci e storie: dagli archibugieri del '600 fino al nonno e al padre, Paolo Fabrizio Iacuzzi gioca con la storia personale e collettiva come un apprendista stregone, nuovo Prometeo o Frankenstein armato solo di parole, tra la malinconia e il riso, il male e il bene riporta in vita i morti mettendoli in relazione con i vivi, per sottrarli al silenzio senza tuttavia violarne il mistero. Comica e tragica al tempo stesso, la lingua si piega a rappresentare il male, «soprattutto quello più bizzarro, perché si nasconde negli organi vitali del corpo e non dà segni evidenti di vita ma è diventato un virale doppio d'amore»; entra dentro ogni corpo, in una ricerca continua dell'origine della malattia e della sua possibile guarigione. Uno dopo l'altro, i versi compongono una sorta di autobiopsia personale e collettiva nel tentativo di consegnare all'eternità se stessi e gli altri.L'articolo è stato aggiunto al carrello
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