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Congo blues - Jonathan Robijn - copertina
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Congo blues

Descrizione


Morgan è un pianista, per lo più disoccupato, che non ricorda granché della sua infanzia, perché è nato in Congo ed era molto piccolo quando è arrivato a Bruxelles con un aereo. Si guadagna da vivere suonando nei locali che popolano la ricca scena jazz della capitale dalle enormi ville e dai grandi viali, costruiti con i fiumi di denaro provenienti dall'ex colonia. La mattina di Capodanno del 1988, rientrando dopo un concerto, vicino a casa trova una donna che dorme profondamente, al freddo. È giovane, indossa un vestito elegante, e Morgan decide di portarla con sé, prima che si congeli. Quando la adagia sul letto, dalla sua borsa scivola fuori una busta piena di contanti: sono moltissimi soldi. Dopo qualche giorno, così com'era apparsa, Simona, la ragazza misteriosa, scompare all'improvviso, ma la magia e l'intensità di quell'incontro non se ne vanno con lei. Morgan vuole ritrovarla. Qualcosa in quello che lei gli ha raccontato ha risvegliato memorie assopite. Davvero è successo tutto per caso? E quali sono gli affari che Simona porta avanti in Congo insieme all'uomo che, sfuggente come lei, gira al volante di una Maserati rossa? Mentre cerca di scoprire chi sia veramente la donna che ha salvato dal gelo, Morgan non si accorge che la sua indagine sull'identità altrui lo sta portando molto vicino al proprio passato, così indissolubilmente legato al dramma del colonialismo. Scrive Simone Weil che conoscere le proprie radici è forse il più importante ma meno riconosciuto bisogno dell'animo umano: ma davvero diventiamo persone più complete nel momento in cui sappiamo da dove veniamo, oppure è meglio non indagare troppo e limitarci ad andare avanti al meglio con la nostra vita?
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Dettagli

2020
13 febbraio 2020
172 p., Brossura
9788829703487

Valutazioni e recensioni

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alessia
Recensioni: 1/5

È un libro incompiuto. Sembra soltanto l'introduzione del libro. L'idea era interessante se fosse stata sviluppata con maggiore profondità. Peccato una occasione mancata di scrivere un buon libro.

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Recensioni

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Voce della critica

Chi sei? Da dove vieni? Chi sono i tuoi genitori? Cosa fanno? Sono domande banali, che tutti – durante l’infanzia – ci siamo sentiti rivolgere chissà quante volte. Nome, cognome, data e luogo di nascita: «sono il figlio di… mio padre lavora lì, mia madre…». Routine. Normale routine. Ma provate a pensare per un attimo, se a queste domande non foste in grado di rispondere.

Chi sei?
Da dove vieni?
Chi sono i tuoi genitori?
Cosa fanno?
Come sei arrivato qui?

L’assenza/privazione delle cose che diamo per scontate può gettarci nel panico. Morgan, il protagonista di Congo Blues (172 pagine, 16 euro) di Jonathan Robijn, a dire il vero non si lascia mai prendere dalla disperazione: in maniera quasi fatalistica sembra riuscire a convivere con la nebbia che avvolge il suo passato. Eppure, come tutti, anche Morgan ha dei genitori biologici, è nato da qualche parte, per qualche motivo è stato portato via ed è finito in Belgio, dove vive (a stento) suonando il pianoforte. Ma la curiosità è come una molla e basterà poco – una ragazza che compare quasi casualmente sulla scena – sulla quale Morgan inciampa la notte di capodanno del 1988, a farla scattare. Una curiosità irrefrenabile che lo porterà alla ricerca delle proprie radici.

«Morgan non si accorgeva che la sua indagine sull’identità altrui lo stava portando vicino alle proprie radici.»

A fare da sottofondo a questo delicato (e riuscitissimo) romanzo del belga Jonathan Robijn, portato in Italia dalla casa editrice Marsilio e tradotto egregiamente da Laura Pignatti, è la musica jazz, un genere che ha di suo una forte connotazione nostalgica che spesso sfocia nella tristezza. Morgan è nato in Congo ed è arrivato piccolissimo a Bruxelles. Della sua infanzia non ricorda quasi nulla. Vaghe tracce, più che altro impressioni, sensazioni, e contaminazioni africane che di tanto in tanto riempiono i suoi sogni. La svolta arriva quando il giovane pianista di colore si imbatte in una ragazza che dorme al gelo e che decide di portare a casa sua per evitare che muoia assiderata. Simona è bionda, bella e misteriosa. Apprezza la musica di Morgan, parla poco di sé ma non lesina domande, e tiene una borsa con tantissimi soldi. Dopo un paio di settimane la ragazza svanirà nel nulla, così come era comparsa.

Ma la fugace convivenza, la magia di quell’incontro, non spariranno con lei. Morgan vuole sapere che fine ha fatto Simona e indagando si imbatterà nel proprio doloroso passato. Andando alla ricerca di Simona conoscerà altre persone, talvolta enigmatiche tanto quanto la ragazza, e a poco a poco capirà e finirà per chiedersi se quella notte di capodanno Simona era lì per caso. La storia catalizza in fretta l’attenzione del lettore, grazie anche a una prosa morbida e avvolgente, e soprattutto grazie ad un intreccio intessuto con maestria dall’autore, abilissimo nel lasciar intendere senza mai svelare del tutto, nel lasciare ogni porta aperta, nel far sembrare Congo Blues una sorta di mistery suburbano con venature noir.

Chi è Morgan, veramente?
Da dove è arrivato in Belgio?
Qual è il suo passato?
Chi sono i suoi genitori?
E dove sono adesso?

Il romanzo di Robijn è soprattutto un pretesto per gettare uno sguardo inquisitorio sulle nefandezze del colonialismo in terra d’Africa, sui tragici solchi che ha lasciato, sugli enormi danni che ha provocato, non solo alla cultura e all’economia del continente nero, ma anche alle persone, ai singoli esseri umani, alle migliaia di madri e ai loro figli portati a forza in Belgio alla fine del periodo coloniale.

«Eravamo quasi onnipotenti. Potevamo fare tutto quello che volevamo. Ci controllava solo il Signore. E lui, quando andavamo al di là delle nostre competenze, taceva.»

Un romanzo che potrebbe sembrare legato al passato, un passato ormai superato verrebbe da dire, ma che invece è attualissimo perché i legami tra il Belgio e l’ex colonia africana non sono mai stati recisi del tutto. «A nome del governo federale, presento le mie scuse ai meticci dell’età coloniale belga e alle loro famiglie per le ingiustizie e le sofferenze che hanno patito». Questa frase è stata pronunciata dal primo ministro belga uscente Charles Michel, non qualche decennio fa, ma lo scorso 5 aprile. Il riferimento è ai rapimenti di bambini meticci congolesi compiuti tra il 1959 e il 1962, gli ultimi anni della dominazione belga. Ai tempi le leggi di Bruxelles proibivano i matrimoni interrazziali e quei bambini nati da coppie miste erano, loro malgrado, la prova della violazione di tali leggi. Pertanto sovente venivano strappati alle loro madri e portati in Belgio per essere adottati. Come è successo a Morgan. E sono stati migliaia i bambini sottratti alle famiglie locali dagli occupanti. Un dramma nel dramma che Robijn illumina senza mai eccedere, raccontando i fatti attraverso una storia che prende in fretta il sopravvento sulla prosa e sui personaggi del romanzo, tutti ben caratterizzati, nonostante il mistero che li circonda. Morgan è quello più sfuggente e in fondo è giusto che sia così.

Recensione di Giovanni Di Marco

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