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Creata dal regime nel dicembre 1926, quella di Lipari fu fino alla sua soppressione nel gennaio 1933 la principale colonia di confino politico. A essa è dedicata questa monografia, che aggiunge un capitolo alla storiografia delle istituzioni repressive fasciste. I confinati a Lipari durante gli anni di attività della colonia furono all'incirca 1400. Essi, per lo più schedati come comunisti, e per lo più appartenenti alle classi subalterne, costituirono una "comunità artificiale" che ebbe, per molti versi, una vicenda peculiare. Come accadde in altre colonie, i confinati da subito si autorganizzarono secondo le diverse appartenenze politiche per assolvere in comune alcuni servizi ritenuti essenziali - dalle mense alla costituzione di scuole e di biblioteche circolanti - e lenire così i disagi materiali e spirituali del confino. Una risorsa fondamentale per far fronte alle difficoltà quotidiane si rivelò però la capacità di integrarsi nella più ampia comunità liparota. I confinati più ricchi vi trovarono una sistemazione abitativa alternativa ai locali della colonia, dove poterono essere raggiunti dai familiari, mentre quelli più poveri vi trovarono una precaria ma fondamentale occupazione lavorativa che per alcuni fu occasione di nuovi legami sociali e affettivi. Nel libro ci si sofferma anche sulla storia amministrativa della colonia, segnata da un continuo conflitto di competenze fra i vari diversi centri decisionali, afferenti allo stato o al partito, responsabili del suo funzionamento, e che per i confinati si traduceva in un peggioramento delle loro precarie condizioni di vita e in un inasprimento della "disciplina". Senza dimenticare gli atti di arbitrio e di violenza cui essi erano sovente esposti: un tipo di animazione ben diverso da quello normalmente offerto da quello che è stato in alto loco definito un "villaggio vacanze".
Cesare Panizza
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