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“Un giorno, a una esposizione di arte concettuale al New York Cultural Center, vidi un’opera costituita da un normale tavolo su cui erano posati alcuni libri. I libri erano di filosofi come Wittgenstein e Carnap, Ayer e Reichenbach, Tarski e Russell. Si sarebbe potuto trattare del tavolo del mio studio, visto che era sufficientemente anonimo da poter essere ridotto a una semplice superficie da lavoro e i libri posati sopra erano dello stesso tipo di quelli che consultavo spesso per il mio lavoro”. Questo è il rompicapo – e insieme il paradosso – che attraversa l’arte contemporanea così come l’ontologia dell’arte: il tavolo con sopra i libri al New York Cultural Center è considerato un’opera d’arte, mentre lo stesso oggetto, un tavolo con sopra libri di filosofia, nel mio appartamento sulla 119vesima strada, a New York, è e rimane un semplice tavolo. Com’è potuto accadere che la distinzione, classica, tra opere d’arte e oggetti comuni sia stata abbandonata? In un mondo in cui la bellezza è merce sempre più rara, le opere d’arte paiono essere ovunque. Ma sarà davvero così?
Tiziana Andina (www.labont.it/andina), ha conseguito il dottorato di ricerca in estetica e ora è ricercatrice presso l’Università di Torino, dove insegna ontologia. Tra i suoi lavori ricordiamo: Il volto americano di Nietzsche, Napoli, 1999; Il problema della percezione nella filosofia di Nietzsche, Milano, 2005; Percezione e rappresentazione. Alcune ipotesi tra Gombrich e Arnheim, Palermo, 2005.
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