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scheda di Versari, M., L'Indice 1995, n. 9
In versione italiana, con testo tedesco a fronte, vengono proposte le "Confessioni" di Heine. La traduzione, di Montanari, è precisa e condotta con gusto, soprattutto nella scelta lessicale, che ben rende l'ambiguità ironica dell'originale. L'introduzione di Destro colloca con chiarezza lo scritto di Heine quale ultimo snodo della sua riflessione epocale, collegandolo per affinità e differenze alla produzione precedente, in particolare alla "Storia della religione e della filosofia in Germania" (1834) e alla "Scuola romantica" (1835) il ricco apparato di note offre infine al lettore un ausilio indispensabile per orientarsi in una serie di allusioni a personaggi ed episodi di non ovvia decifrabilità.
Come osserva Destro, le "Confessioni" sono costituite da due nuclei tematici: la polemica contro Madame de Stael e il nuovo credo protestante dell'autore. Le due parti, apparentemente slegate fra loro, sarebbero però tenute insieme dall'interesse "civile o storico" di Heine. In effetti esse sembrano anche improntate a uno stato d'animo diverso: La felice invenzione polemica" di Heine contro la signora francese tende piuttosto a travalicare i limiti dell'ironia, per scadere in oltraggio. Trapela, in questa parte dello scritto, una misoginia che va oltre le valutazioni di merito. Più avanti parlando della sua revisione filosofico-religiosa, il tono di Heine si fa meno sarcastico, lasciando spazio all'indulgenza, sia nei confronti delle debolezze altrui che, ad esempio, dei diversi insegnamenti religiosi. Il filo conduttore delle "Confessioni" consiste nella parabola dell'idealismo tedesco: in "Storia della religione e della filosofia in Germania", Heine ne loda lo slancio libertario e - a proposito di Fichte, ma soprattutto di Schelling - il panteismo di fondo.
Heine, rifiutando anche il rozzo materialismo comunista, fa un atto di fede in Dio; non nel tiranno "che scaglia fulmini" e che condanna il corpo come "cosa meschina" quanto piuttosto nei confronti di quella legge divina personificata dal "socialista" Mosè. Ecco che in sostanza Heine non opera un radicale cambio di rotta, recuperando forse per altra via concezioni affini a quelle risalenti al 1831, cioè l'idea di una possibile integrazione di religione e società, così come l'avevano intravista i sansimonisti, e all'interno della quale si giustifica altresì il ruolo dello scrittore politico.
Lungi dal costituire una riflessione storico-filosofica paludata, le "Confessioni" di Heine piacciono per il loro stile ricco di annotazioni argute di carattere psicologico e antropologico, che propongono al lettore una personalità di scrittore viva e ancora ricca di sollecitazioni.
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