Pubblicato per la prima volta in Francia nel marzo del 2012, Il condottiero, romanzo giovanile di Perec datato 1960, arriva ora nelle nostre librerie in un'edizione davvero soddisfacente. La casa editrice Voland (che già aveva pubblicato nel 2011 Tentativo di esaurire un luogo parigino con un corredo iconografico d'eccezione; cfr. il blog dell'"Indice", 18 gennaio 2012) presenta il testo accompagnato da due saggi in qualche modo complementari tra loro. Il primo, scritto da Claude Burgelin, studioso dell'opera di Perec e vicinissimo a lui proprio negli anni giovanili, fornisce le coordinate per l'inserimento del romanzo nella vita dello scrittore; il secondo, di Ernesto Ferrero, propone un'interpretazione nutrita di riferimenti suggestivi alla poetica e all'opera di Calvino, che di Perec fu, dal 1972, amico, complice di sottili giochi enigmistico-letterari e commosso esegeta. Il lettore italiano ha dunque tutto quel che gli serve per partire alla scoperta del Condottiero.Una scoperta che lo condurrà alle origini dell'arte di Perec, tra motivi autobiografici e influssi culturali, aspirazioni epiche e onnipresente autoironia. La prima spia dei fondamenti autobiografici del Condottiero è il nome del protagonista-narratore, Gaspard Winckler. È composto dal nome del tedesco Caspar Hauser, il "ragazzo selvaggio" protagonista di un drammatico caso giudiziario ottocentesco, e da un cognome che compare (lo ha scoperto il biografo di Perec, David Bellos) nel film di Lang M. Eine Stadt sucht einen Mörder (sa noi, M. Il mostro di Düsseldorf). Evoca dunque insieme la solitudine di uno degli orfani più derelitti della storia, Caspar Hauser, e la violenza di un'atroce vendetta, quella esercitata, nel film di Lang, dalla malavita su un maniaco assassino di bambini. Vero condensato delle ossessioni di Perec, il nome "Gaspard Winckler" designerà in W ou le souvenir d'enfance due personaggi a forte connotazione autobiografica: un bimbo sordomuto scomparso nel corso di un naufragio e il disertore dalla problematica identità incaricato di ritrovarlo. Ritroveremo un Gaspard Winckler anche tra i protagonisti della Vita. Istruzioni per l'uso. Il Winckler della Vita, abilissimo artigiano coinvolto dal miliardario Bartlebooth in un progetto che prevede la fabbricazione, la ricostruzione e infine la distruzione di cinquecento puzzle, finirà per assassinare il suo ricco committente, infliggendogli l'insostenibile frustrazione di un puzzle dal completamento impossibile, nel quale all'ultimo spazio vuoto a forma di W corrisponde un pezzo a forma di X. Oltre al nome, altri indizi ci suggeriscono di riconoscere nel Gaspard Winckler del Condottiero un alter ego del suo creatore. Abbandonato durante la guerra da genitori stranamente indifferenti (abbandono che maschera la tragica morte dei genitori di Perec), Gaspard, studente di belle arti, nel 1943 inizia presso il pittore Jerôme un singolare apprendistato: quello di falsario. La data non può essere scelta a caso: è quella dell'anno in cui la madre di Georges Perec scompare ad Auschwitz. Collocando in quell'anno l'inizio della carriera di falsario del suo protagonista, è come se Perec ci indicasse il momento in cui la sua stessa vita è diventata qualcosa di falso, una mera apparenza priva di sostanza. Artigiano d'incomparabile abilità, Gaspard per anni produce quadri, statue e gioielli "antichi" che un'organizzazione criminale immette sul mercato. La sua versatilità allude, evidentemente, a quella di Perec, eccelso imitatore di tutti gli stili possibili. Ma c'è un punto in cui la sublime facilità di Gaspard si rovescia nel suo contrario. Sfidato a creare non una copia del Condottiero di Antonello da Messina, ma un'altra versione dello stesso quadro, Gaspard fallisce nell'impresa, comprende di essersi lasciato imprigionare in una vita senza sbocchi e uccide il suo ricco committente, Anatole Madera, prima di darsi alla fuga. Il racconto di questo tentativo impossibile e del suo fallimento costituisce il cuore stesso del romanzo. Ipnotizzato dalla sicurezza di sé dell'eroe rinascimentale e del pittore che lo ha immortalato, il falsario non può che misurare la distanza tra le proprie inquietudini, la propria visione frammentaria del reale, e la maestosa serenità di una tradizione ormai lontana nel tempo. La sua perplessità estetica traspone le impasses teoriche del giovane Perec, affascinato da Klee ma anche dal "realismo critico" di Lukács, da Sartre e da Roland Barthes, da Brecht e da Flaubert. Ci racconta i primi passi di un romanziere che, a differenza dei nouveaux romanciers, non vuole rifiutare in toto la tradizione ottocentesca, ma è d'altronde consapevole, con estrema lucidità, del fatto che "la sensibilità al mondo moderno è la prima condizione di un'arte moderna". Mariolina Bertini
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