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Concordanza di tutte le poesie di Eugenio Montale. Concordanza, liste di frequenza, indici
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1987
1 maggio 1987
2 voll., LVI-1072 p.
9788822234810

Voce della critica


recensione di Mengaldo, P.V., L'Indice 1988, n. 4

Tutte le concordanze letterarie sono uno strumento decisivo per ogni tipo d'utente. Tanto più queste, su tal poeta, di Sàvoca, già autore anni fa di analoga impresa per i "Colloqui di Gozzano", più recentemente, e nella stessa serie olschkiana, per Corazzini e Cardarelli (utilissime soprattutto queste, di un poeta molto poco studiato linguisticamente e nel dettaglio). Non si tratta infatti di una Concordanza brutale ed elementare, ma fornita degli ampii complementi del caso: oltre a una guida introduttiva largamente ragionata dello stesso Sàvoca, la lista di frequenza dei lemmi ("parole") - in ordine decrescente generale e poi per categorie grammaticali -, indici "delle varianti grafiche e fonetiche" (non si intenda varianti d'autore, ma forme, compresenti in Montale, della stessa "parola"), degli omografi, "delle forme e dei lemmi composti" (con trattino: conglomerati come "anni-luce" e "luce-in-tenebra" e "Grandes-Voix-Eternelles"; o con barretta trasversale: alternative-compresenze tipo "fama/farsa"), infine "quadri statistici", della distribuzione percentuale delle parole secondo categorie opera per opera e nell'assieme. Ciò per l'intera produzione poetica finora nota, incluse le "Disperse" aggiunte dall'edizione, per altri aspetti sciagurata, di Zampa (Meridiani ) rispetto alla critica Bettarini-Contini (Einaudi). Che ne restino per forza fuori le senili d'occasione a una destinatrice che or ora sono apparse anche in Italia, nessuno rimpiangerà seriamente.
Sicché sarebbe almeno ingeneroso lamentarsi che non siano cooptate le varianti d'autore (impresa molto più complessa per il Montale tardo che per le tre prime raccolte); o che "parole grammaticali" come 'di' siano date senza contesto (ma parole come 'non' sì), e che il contesto sia sempre e tirannicamente il solo "verso" di pertinenza; oppure che si attenda ancora la concordanza delle prose, di cui qui sono "spogliate" solo quelle "liriche" inserite in una raccolta poetica. Certo, per stare al primo fatto, l'utente di questa "Concordanza" può credere che ne "L'elegia di Pico Farnese" sia stato scritto sempre, v. 38, il corretto fiorentino "diosperi" 'cachi', che invece è correzione dell'ultim'ora, resa possibile a Montale dalla scoperta di uno studioso (Rebay) e discutibilmente accolta nell'edizione critica, in luogo dell'originario, e certo equivoco, "diaspori", che sarà stata magari forma del lessico familiare dell'autore e di Drusilla Tanzi detta Mosca e che dunque nella "Concordanza" non figura.
È doveroso anche tener presente che per il lessico e la semantica di Montale, a parte lavori selettivi o mirati a questo o quell'aspetto (molti e talora ottimi o buoni, a cominciare dal regesto di Flora), disponevamo finora, più analiticamente, del capitolo di un libro di linguistica generale di Rosiello, valutazione statistica globale limitata alle prime tre raccolte; Rosiello del resto pubblicava solo l'elenco delle alte frequenze (con un'omissione: "fare" ) e traeva dai tabulati riflessioni critiche poco più che sommarie; nonché dall'infame "Glossario" ("Le parole di Montale" di Barbuto, giustamente castigato ed emendato da A. Balduino e R. Broggini).
Tuttavia sia permesso qualche rapido rilievo critico per esempi, anche ad illustrare la seguente degnità: quando le concordanze siano fatte o dirette da un critico letterario, anche non inesperto - com'è il caso - del suo autore, è bene che costui si associ un filologo/storico della lingua. Così è arduo ammettere che 'annerare', 'niuno', 'sbioccare' siano varianti "grafiche o fonetiche" anziché morfo-lessicali, di 'annerire', 'nessuno', 'sfioccare'. Fa un certo effetto vedere il BUCO di "Morte/a BAFFO BUCO" ("Bufera") che Montale ha prelevato, già col suo gusto tardo per i materiali "parlati", da un insulto murale fiorentino a Hitler ("Nazi péderaste comme l'abjecte Hitler" ho letto io una volta, più elaborato schiaffo, su un muro parigino), nella stessa lista degli innocenti 'buchi' normali (p. 87). Vanno invece unificati i due camini di p. 93, rispettivamente "dal grande camino giungono lieti rumori" (Leopardi!) e ".../ di 'camini', con grida dai giardini", che significano il medesimo (infatti a p. 1056 il secondo è spiegato erroneamente 'percorso'). Era preferibile separare dagli altri i 'cui' con valore di complemento oggetto (solo di "Ossi" e "Disperse" giovanili) e così "meglio se le gazzarre..." da "il meglio ramicello"; e le 'lame' montaliane non sono solo due ('filo dell'arma da taglio' e 'pozzanghera, stagno', che forse non è neppure esattissimo per le "lame d'acqua" di "Riviere"), bensì tre, dato che vogliono dire '(pezzi di) latta, lamiere', alla ligure, in "Corno inglese": "forte scotere di lame" evocato dal vento, e in "Caffè a Rapallo": "l'indicibile musica/delle trombe di lama/e dei piattini arguti dei fanciulli", come indicato a suo tempo dal sottoscritto e, meglio, da Broggini: fra parentesi, Sbarbaro in "Pianissimo" ha "cielo di latta" (ora, per questo e altro, la documentazione è approfondita da G. Bagnasco, "Glossario di dialettismi in testi letterari liguri del Novecento", in "Quaderni dell'Atlante Lessicale Toscano", 4, 1986). Per me è pure certo che 'piane' in "Marezzo" ("Digradano su noi pendici/di basse vigne, a piane./ Quivi stornellano spigolatrici/con voci disumane") non vale genericamente 'pianure', ma più tecnicamente, e anche liguremente, "fasce di vigneto", appunto quelle delle Cinque Terre. E perché 'strepeare' (le "strepeanti acque" di "Mediterraneo") non è considerato, come dovrebbe, variante fonica - ligure - di 'strepitare' (e v. "strepitoso" 'rumoroso', come ad es. già in Pascoli)?
Mi fermo qui. Ma evidentemente si tratta anche di tecniche usate nella redazione della "Concordanza". Io ad esempio ne avrei visto volentieri, qui, importata qualcuna dall'ottima e funzionalissima di Einaudi (cui ha messo mano una studiosa del rango della Bettarini) per la "Commedia" dantesca, a cominciare dalle freccette di rimando: che lì collegano immediatamente non solo plurali al loro singolare, voci verbali varie al rispettivo infinito, 'imaginare' a 'immaginare' ecc., ma anche, che so, 'falsificare' a 'falsare' e 'falseggiare' (e viceversa), 'lo' articolo a 'il', di fatto registrati con le loro forme flesse di seguito ma distinti (e con tutto il contesto versale) a partire da 'il', allegando in più una comoda nota sullo "schema" delle possibilità, in cui è perfino distinto 'ne lo' collocato "irrazionalmente" in fin di verso dal normale 'ne lo' interno; ecc.
Per altra alternativa "tecnica" abbozzerei un discorsetto più diffuso. Grosso modo il lettore di Montale conosce già la sua evoluzione nell'uso dei forestierismi, adattati e no. Dai rari francesismi adattati degli "Ossi": 'ramure', 'falòtico' (ma, ci fa vedere questa concordanza, in una 'Dispersa' giovanile stava, in rima con 'non so', versicolo successivo, "una piuma un nonnulla un bibelot"); agli anglismi e anche ispanismi non adattati, ma preferibilmente in 'exerga', titoli, luoghi speciali, e preferibilmente nomi propri e pezzi o interi di citazioni, delle "Occasioni" (da 'Keepsake' a 'Buffalo' a 'Bank Holiday' alle citazioni di Shakespeare, Bécquer, "Adios muchachos..."; e in "Palio" un francesismo accusato come 'ergotante' "cavilloso" sta in forte ossimoro, rilevato dall''enjambement', con la 'balbuzie' dei dannati e concomita a 'toto coelo'), alla nuova situazione della "Bufera", o meglio ancora delle sue poesie di più marcata o sciolta occasione e per la Volpe e del testamentario "Sogno del prigioniero", tardo e conclusivo: con "Dove" areoplano in titolo (nel testo 'colomba') ma anche, in testo, il 'Bedlington', cane e non aereo - come dapprincipio s'è inteso -, e il 'poney' e il 'cutter' che bianco-alato, dantesco "astore celestiale", mena e deposita sulla rena i motti, e i "ricci bergère" e il 'pƒté' destinato agli Iddi pestilenziali. S'affaccia qui, con più misura e senso d'opportunità poetica, il tipo d'impiego dei forestierismi che dilagherà nel Montale da "Satura" in poi, "tardivo (e dunque anche piuttosto incontinente) ricettore di neologismi". Non val la pena di citare diffusamente, ma solo di ricordare almeno: che l'inglese forse attua il sorpasso del francese; che a parole sintagmi frasi di queste due lingue e dello spagnolo ('olla podrida'...) se ne accostano di tedeschi, da 'delikatessen' a' Götterdämmerung' a 'Stimmung', e poi anche, mettiamo, 'mestre de gay saber' (provenzale antico) e 'uadi' (questo è in "Satura", ma anche nella prosa di "Fuori di casa"); che il tutto vive in (troppo) densi e dissonanti impasti di "lingue" e registri diversi; che infine per origine e connotazione pertiene soprattutto al linguaggio della conversazione mondano-intellettuale, piuttosto snob, il quale per altro verso alimenta tecnicismi intellettuali o invece voci ed espressioni di lessico privato, di coppia, di gruppo, ristretto, come già l'esplicito "il lamo" per "l'amo" di una lirica della 'Bufera').
Ora questa Concordanza ci permette di articolare e arricchire quanto sapevamo o sospettavamo in materia (p. es. anche costringendoci a riammirare, complice la coincidenza di contesto e verso, questo dove le distanze di registro sono mirabilmente azzerate nella fusione lirico-mortuaria da postmoderno del neoclassicismo surreale: "in questi nivei défilés di morte"). Ma ci avrebbe dato una mano, con minor spesa e maggior organicità del colpo d'occhio, se Sàvoca avesse stivato in una sola lista-categoria, quanto meno, tutti i forestierismi non adattati: come hanno fatto gli autori delle recenti Concordanze della stampa periodica milanese nella prima metà dell'Ottocento. Ed è troppo dolersi che il medesimo non sia stato fatto anche per i dialettalismi? dapprima, si sa, solo liguri, poi anche toscani (e magari letterari assieme: 'pendìa', 'ròdola'... ), infine anche settentrionali-milanesi ('gibigianna', peraltro assistito da una tradizione letteraria "scapigliata", 'pirla'... ). Certo anche per i dialettalismi certi o possibili discriminare i valori contestuali non è facile, e supera i compiti di una Concordanza, anche se ne riceve validi ausilii. Il 'diroccare' di "Falsetto": "ed un crollar di spalle /dirocca i fortilizŒ /del tuo domani oscuro" (= 'abbatte, fa crollare'), probabilmente indotto anche da variazione rispetto a 'crollar'('e'), sta con usi letterari tradizionali, come in un passo di prosa dannunziana in cui vengono diroccati e affocati "torri marine", "mura", "tetti", ma non senza il retrogusto del ligure 'deroccà' (intransitivamente, è il 'diroccare' di Calvino giovane). Ma non so se lo stesso retrogusto permei anche, nel "Diario", il "monolito/diroccato dai picchi di Lunigiana", detto figuratamente di una venditrice d'erbe (= 'franato', all'incirca; nel versiliese Viani è 'diroccato' 'scosceso' un monte della zona: come pure si ricava dal Dizionario del Battaglia). Comunque questo verso è cospicuo per il manierismo combinatorio esercitato dall'ultimo Montale sui propri stessi materiali e modulazioni pregressi: qui la combinazione, detto in breve, è tra il 'picchi' in rima ardua dell'antico "Meriggiare" ...e questo distico della "Bufera": "lo squarcio che si sbiocca dai nevati/gioghi di Lunigiana" (più nella subito precedente "Satura", il "picco abrupto" che gravita sul tragico borgo di Sant'Anna sempre in Versilia)? a sua volta quel 'nevati', 'unicum' nel poeta (in "Satura" c'è 'nevate' sostantivo), non si intende se non lo si interpreta come "variante", ulteriormente impreziosita dall'inarcatura, del 'nevicati', pure in punta di verso, di una precoce versione da Eliot: "e il sole d'inverno rade i colli nevicati" che scenderà dritto dalle 'nevicate alpi' di una lirica dubbia di Dante; e si potrebbe proseguire con le catene, come usa dire, intertestuali, partendo ora da 'radere' o da altro.
Tuttavia, nel caso di autori notorii e abbastanza studiati, è da supporre che una meritoria Concordanza incida subito, ancor più che sulla nostra conoscenza di lessico e semantica, su quella più sottile e gravosa a procurarsi con spogli personali, di abitudini fonomorfologiche, prosodiche, sintattiche. Faccio qualche esempio minimo. Si stabilisce, scorrendo questi due volumi, la distribuzione per momenti e raccolte delle alternanze tra varianti più e meno marcate in senso letterario come 'gittare'/'gettare'; oppure che 'esiglio' abita solo negli "Ossi" altrove rimpiazzato sempre dal "corretto" 'esilio'; oppure che le uniche forme del perfetto di 'aprire' e 'scoprire' sono in Montale quelle "sigmatiche" ('aperse'...): anche per ragioni ritmico-eufoniche? A cavallo tra sintassi e lessico che non esiste l'interrogativo 'cosa' ma solo 'che cosa': tra lessico e versificazione che solamente da "Satura" in giù sono impiegate voci non poetiche sesquipedali come 'duecentomila' ed 'elefantiaco', queste due peraltro incastonate in sonanti endecasillabi a tre soli accenti ("quando duecentomila laureati", "non quello elefantiaco, mostruoso"); a cavallo ancora tra lessico e sintassi che giovinetto aggettivo è solo, due volte, in "Ossi" e "Occasioni", in entrambe aulicamente anteposto al sostantivo ('giovinetti' sost. è attestato soltanto in una versione da Yeats e qui, si scopre poi, entro una formula solenne in chiusa di verso che amplifica l'originale: "Giovinetti e fanciulle"; Yeats, "Sailing to Bizantium", 1, "The young").
Sempre per la fono e morfo-sintassi, si può andare, meglio che con le proprie esclusive forze, nell'istruttivamente minuto. E sia un minuto che qui posso solo accennare all'ingrosso: ad esempio dagli "Ossi" alla "Bufera" è del tutto prevalente la formula con 'mi' eliso davanti a verbo iniziante con vocale, più letteraria credo, e legante e compattante, di quella con 'mi' non eliso. Dunque "m'affaccerò", "m'empiva", "m'affisavo"..., "m'era aperto", naturalmente "m'investe". "m'intorbidano"...; "m'appare", "m'attarda", "m'affaccio": due sole eccezioni in "Ossi" e "Bufera", nessuna delle "Occasioni" (però in una prosa della stessa "Bufera": "...dove il malato non si attendeva di vedermi"). Ma in "Satura" la normalità è data da "mi appago", "mi abituerò", "mi occorrono", e l'opposta scelta per l'elisione si può spiegare sempre o quasi con motivi variamente contestuali: perché segue 'i' - ("m'immergo" ecc.), perché il tono è "alto" ("Non torba m'ha assediato ma gli eventi..."), perché siamo in un rapido inciso di 'verbum dicendi' ("m'hai risposto"), perché si tratta di due versi successivi e occorre alternare ("...mi ha sfiorato/quel brivido m'ha detto tutto e intanto/..."), o per due di queste ragioni assieme. Si potrà estendere l'inchiesta al rimanente. Anche non sarà male, facilitati dal lavoro di Sàvoca, studiare le collocazioni montaliane nella serie agg. possessivo ('mio', 'tuo' ecc.) È sost. È altro (o altri due) agg.: "nella mia memoria grigia" o "in questo mio ritmo stento", ma "la vera mia sostanza" e, quasi identico di ritmo e di suono, "l'avara mia speranza" e poi "l'animo nostro informe", "lo sbandato mio passare", "coi miei racchiusi bocci", "al tuo profondo/sonno" e perfino "codesta povera mia/vita turbata" ecc. ecc. (normalissimi, ovviamente, "la vostra dolce ignoranza" e anche "ogni mio tardo motivo").
Venendo di nuovo a lessico e semantica lessicale, sospetto che i vantaggi dell'uso di questa "Concordanza" saranno più apprezzabili, come avviene di norma, per il Montale meno conosciuto e studialo: cioè meno notabili per "Ossi"-"Occasioni"-"Bufera". Quanto alle considerazioni statistiche brute di presenze, assenze e frequenze comparate, io confesso la mia miscredenza, o se si preferisce la mia simpatia per quel grande studioso di statistica che diceva, se non sbaglio: "le statistiche son come il bikini: mostrano tutto ma nascondono l'essenziale" (oggi bisognerebbe surrogare quanto meno il topless ). E poi: si compara cosa con cosa? Rosiello stava sull'ingrosso e ricavava risultati contrapponendo frequenze montaliane a quelle, genericamente "italiane" contenute, con allegra indistinzione d'epoche e registri, in un vecchio lavoro della Knease, o solo un pochino meglio contrapponendole alle dantesche (sempre tratte da un lavoro antediluviano), meglio decisamente alle simbolistiche francesi censite da Guiraud. Ma i veri spunti indicativi anche lui li otteneva quando paragonava, sia pur sommariamente, raccolta e raccolta di Montale. Le frequenze montaliane stabilite da Sàvoca, e solo per la poesia, con cos'altro le compariamo fuori di Montale, stante che non abbiamo n‚ concordanze n‚ indici di frequenza di Pascoli, di D'Annunzio, di Saba e che per Gozzano e Ungaretti ci sono solamente le concordanze di "Colloqui" e "Allegria"? Ancora con le frequenze dantesche?
Entro questi limiti, oggettivi e soggettivi, butto lì qualche osservazione. Con questa Concordanza sott'occhio possiamo controllar bene entità e distribuzione dei verbi "parasintetici" a prefisso, p.es., 'in' - o 'dis' - (i notevoli fra questi ultimi, non privi di un pedale dialettale, quasi solo nel Montale giovane, ma dobbiamo anche mormorarci subito che nella sostanza già ce lo sapevamo. E così, tra "Ossi" e "Bufera", per la rarefazione del 'come' (ripasso alla sintassi) che introduce una comparazione, o comparazione esplicita: Rosiello aveva fornito i rudimenti (tutt'al più si osservi che torna in forze in "Satura" e raccolte seguenti). Già un po' più interessante ma non folgorante, sarà scoprire, o riscoprire, che 'balenare' e famiglia fanno la loro vera comparsa in "Occasioni" e "Bufera" e lì di preferenza s'accampano e significano. O verificare certi cambi di tonalità tra il primo e centrale Montale e il più recente: "'luce' abissale" ("Ossi") - "non è 'subacqueo' n‚ 'abissale' n‚/può svelarci alcunché di sostanziale": il 'paretaio costituzionale' ("Quaderno di quattro anni"); "sul fitto bulicame del fossato" ("Ossi") -"Quel lo che importa è che dal bulicame/s'affacci qualcosa..." ("Altri versi") e via dicendo e via dicendo; o ri-verificare per questa via i manierismi di questo Montale, le sue inerzie, i suoi ritorni all'indietro: le famose 'crepe' percorse da formiche di "Meriggiare" cui un testo importante di "Satura" ("Botta e risposta II") procura una sorta di amplificazione e glossa; le "ali ingrommate" che passano dalla "Bufera" al "Diario", il "Lascia sottopassaggi, cripte, buche/e nascondigli" di "Satura" (sintatticamente e ritmicamente mèmore dell'attacco bellissimo "Addii, fischi nel buio, cenni, tosse/e sportelli abbassati" di un mottetto), che si residua così, a breve distanza, nella discorsività ragionata del "Diario del '71": "Solo le cripte, le buche, /i ricettacoli, solo/questo oggi vale, mia cara...", ecc.
L'interesse cresce nel rilevare comunque quanti elementi lessicali del primo Montale, "Ossi" e anche "Disperse" giovanili, tornano nelle ultime raccolte, sopra le spalle di "Occasioni" e "Bufera": p. es. 'carriola', 'delizioso', 'lordura'; o nel buttar l'occhio su alcune parole specifiche del "Quaderno di traduzioni": non soltanto 'galletta' o 'grog' (preceduto però da 'pel' 'per il'), ma anche 'frale' e 'magnitudine' (anche questo nella versione di "Sailing to Bizantium" di Yeats). E specifici delle ultime raccolte, per tornare a queste, sono non pure, sul versante risentitamente colloquiale, "un acca, bestiale 'tremendo', bischero, coglione, emorroidi, macché" e la serie con 'miniì-prefissale, e così via; o, su quello del linguaggio di casta intellettuale, vocaboli come 'epistemi' e 'ipallage' e tanti altri simili, ma anche il dantesco 'gurge' o 'nullameno', e infine un notevole mannello di voci "medie", non marcate verso l'alto n‚ verso il basso, quali 'abitudine' o 'bere' o 'noioso'. In ciò che le raccolte senili condividono con la "Bufera" troviamo 'Altro', così con la maiuscola. Viceversa l'interiezione 'Ah', presente in tre "Ossi" ("Ah l'uomo che se ne va sicuro"...) e in una "Dispersa" giovanile, rientra solo in una versione, più tardi nel "Diario" ("Ah no, Benvolio...") e similmente in 'Altri versi' ("Ah sì, c'è sempre la malefica...") per installarsi in forze in una delle migliori poesie di questo libro, ripetuta con ironico pathos, munita finalmente di punto esclamativo, assunta a titolo, rimante con il conclusivo Mah? Sul che, in sintonia col meglio e il sigillo dell'ultimissimo Montale, si può terminare.

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Giuseppe Savoca

Giuseppe Savoca, professore emerito a Catania, ha pubblicato monografie e studi sul Settecento, Leopardi, Parini,Verga,Tozzi, Gozzano, Svevo, Palazzeschi, Montale, Ungaretti, Rebora, Saba, e altri. L’approfondimento dei problemi ermeneutici in direzione linguistica e filologica lo ha portato all’elaborazione di un originale modello di concordanza computerizzata (a suo nome presso Olschki, nella collana «Strumenti di Lessicogra a Letteraria Italiana» da lui fondata, sono uscite una trentina di concordanze, comprese quelle delle poesie e traduzioni ungarettiane, alle quali si affianca un Vocabolario della poesia italiana del Novecento, Zanichelli, 1995). Per Olschki dirige inoltre «Polinnia» in cui ha pubblicato, tra l’altro, l’edizione critica...

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