Indice
Le prime pagine del libro
«Caro, mi passeresti la marmellata di mirtilli, per favore? E già che ci sei, anche il burro?».
L’uomo in pigiama a righe eseguì, ma era chiaro che aveva ben altro per la testa.
«Senti caro, sii gentile, non è che mi prepareresti una spremuta d’arancia? Scegli le più rosse, mi raccomando... Anzi, non ti sia d’obbligo, fanne due bicchieri, uno anche per Gianni».
L’uomo in pigiama si alzò in piedi e strascinando le pantofole sul pavimento lucidato della sala da pranzo andò in cucina.
Mentre si dava da fare con lo spremiagrumi masticava amaro. Portò le due spremute in tavola.
«Grazie caro, sei un tesoro, ma cos’hai da sbuffare? È per la spremuta? Andiamo...».
L’uomo in pigiama si decise a parlare.
«No, cara, è che... questa situazione sta diventando insostenibile. Cara, dobbiamo parlarne».
«Non vedo che cosa ci sia di cui parlare» replicò lei mentre imburrava la fetta di pane abbrustolito, «e poi ho fretta, devo andare a lavorare, io!».
«Ma come pensi che si possa andare avanti così? Io sono allo stremo...».
«Allo stremo? Ma se non fai niente tutto il giorno, e io allora che dovrei dire, mi faccio un mazzo così dalle otto di mattina alle nove di sera, quando non mi tocca lavorare di notte... e tutto perché tu...».
«Lo so, lo so, non è che mi sto lamentando, prova a metterti nei miei panni».
«L’ultima cosa al mondo che mi va di fare è di mettermi nei tuoi panni...».
«Ecco, cominciamo dalle ultime novità, per esempio quella delle punture, lo sai che non mi va, proprio non mi va».
«Ma di cosa ti preoccupi, non sono mica punture vere, è soluzione fisiologica, permetterai che Gianni debba fare un po’ di allenamento».
Colui che rispondeva al nome di Gianni si affrettò a precisare: «Ah, non guardate me, quella delle punture non è stata un’idea mia».
«Vedi caro, torno a ripeterlo. Non è colpa mia se tutti nel condominio credono che Gianni sia un infermiere, che viene in casa nostra a “fare la notte” a causa delle tue condizioni di salute. Mi pare più che normale che un inquilino gli abbia chiesto se la mattina poteva passare da lui, che vive solo, a fargli l’iniezione, si tratta di un ciclo di trenta giorni. E si sono messi d’accordo per 10 euro a iniezione. Ti sembra poco? Per un’iniezione? Cinque minuti e 10 euro in tasca, nei tempi in cui viviamo...».
Gianni annuì, bevendo il caffellatte: «In effetti dieci euro per una iniezione sono una bella cifra...».
«Sì, ma si dà il caso che il signor Gianni qui presente non sia affatto un infermiere e non abbia la minima idea di come si faccia un’iniezione...».
«Ben per questo ha bisogno di fare pratica... e poi che ci vuole a imparare? Niente, già al terzo tentativo se l’è cavata benissimo.
Ammetterai che la prima volta può essere che uno non abbia la mano, magari infilza troppo forte l’ago, oppure troppo piano».
«Sì, la prima volta mi è venuto il braccino, ma poi ho capito come si fa, mano ferma e decisa, dopo aver dato il pizzicotto...».
«Ma io ho le chiappe tutte sforacchiate per via che lui deve fare pratica, e perché deve farla proprio su di me?».
«E su chi altri vorresti che la facesse? Vedi nessun altro in giro? Alle nove Gianni deve andare a fare la prima iniezione, vuoi che arrivi lì insicuro e in piena tensione nervosa? Adesso full immersion, te ne farà almeno quattro di prova. Ormai solo tu puoi valutare il grado della sua preparazione... accidenti, com’è tardi, devo uscire. Ma se quando torno so che vi siete messi d’accordo, e non avete fatto esercizio...».
«Maria Antonietta, io non ce la faccio più! Passi che i vicini pensino che il signor Gianni è il mio badante notturno quando invece è qui con tutti altri incarichi di Pubblica Sicurezza, passi anche che lui trascorra le notti in camera tua e non in camera mia, passi che io in tutte le decisioni non abbia voce in capitolo, nelle mie condizioni, passi tutto, ma le punture no!».
«Ah, questa poi! Una scenata in piena regola! E alle sette e mezzo del mattino! E davanti a un estraneo!».
«Ma lui non è affatto un estraneo, ormai è come se fosse di famiglia».
«Come osi metterla su questo piano? Come osi metterla su un piano qualsiasi? Come osi parlarmi così? Vuoi portarmi all’esasperazione?».
«Veramente quello portato all’esasperazione sono io, non trovi?».
«Non trovo per niente, e in ogni caso, cos’è, una minaccia? Osi minacciarmi? Sentiamo, che cosa faresti tu, visto che sei così esasperato?».
«Potrei anche... potrei anche fare un gesto estremo...».
«E quale sarebbe questo gesto estremo? Toglierti la vita, tanto per mettermi in difficoltà? Io che ho dedicato la mia esistenza a occuparmi di te? E adesso mi minacci con il “gesto estremo”... non ci riusciresti mai! Sappilo, è l’ultima delle mie preoccupazioni».
«No, ma io potrei... potrei...».
«Potresti?».
«Andare alla polizia!».
La signora, indossando il soprabito col collo di pelliccia, fece un mezzo sorriso.
«Ma che dici, pezzo d’imbecille: la polizia sono io!».
In effetti in quel momento squillò il telefono, era la Centrale, l’agente Mondaini. Il commissario Maria Antonietta Salvatores inserì il vivavoce, mentre allo specchio si sistemava la pettinatura.
«Vi ho detto mille volte di non chiamarmi a casa, solo in casi gravissimi! Fra neanche un’ora sono in ufficio! Cosa c’è di così urgente?».
«Mi scusi enormemente, signor commissario, ma è che c’è stato un omicidio, uno stranissimo omicidio, all’ospedale».
«Che cosa, e tu mi chiami perché hanno ammazzato un tizio all’ospedale? Che ci vada Marra, immediatamente».«Dottoressa, Marra ci è già andato, è che la situazione è molto strana, perché veda...».
«Cosa c’è di tanto strano? È la prima volta che uccidono qualcuno all’ospedale? Capita tutti i giorni...».
«Non si arrabbi, commissario, il fatto strano è che hanno ucciso un malato con la lupara, gli hanno sparato in fronte...».
«E allora?».
«C’è un altro fatto, dottoressa, una circostanza particolare... la vittima era un malato terminale, aveva davanti a sé pochi giorni di vita...».
Maria Antonietta si pulì le labbra con un fazzolettino, e controllò l’uniformità del rossetto, rimuginando.
«Mmhhh, con la lupara... e chi è il morto, un mafioso, un pregiudicato? Che motivo c’è di ammazzare qualcuno che ha i giorni contati? Che ti ha detto quel cretino di Marra? Ci sono testimoni? E uno se ne entra tranquillo in ospedale con la lupara? La faccenda puzza: controllate l’identità del morto, magari non corrisponde per niente a quella dichiarata: siete sicuri che non sia un camorrista sotto falso nome? E siete sicuri che fosse malato per davvero? Potrebbe essersi nascosto in ospedale coperto da un’altra identità, con la compiacenza di qualche medico corruttibile, tanto lo sono tutti. Che altro si sa?».
«Mah, il fatto è successo stamattina alle sei e mezzo, Marra ci sta lavorando ma ancora non è venuto fuori granché. Testimoni non ce ne sono, e il professore non è ancora arrivato, il personale non dice niente, sa, la privacy».
«La privacy? La privacy? Ma io li metto tutti dentro questi stronzi. E dov’è il morto adesso?».
«È sempre nel solito posto, sul suo letto...».
«Fammi parlare immediatamente con Marra».
«Sì dottoressa, ce l’ho in linea, eccolo...».
Dopo qualche minuto di improperi di Maria Antonietta, Marra riuscì ad aggiungere qualche dettaglio in più. Alle 6.35 nel reparto di oncologia si erano sentite due esplosioni di arma da fuoco. Quando l’infermiera era corsa nella camera dalla quale provenivano le detonazioni non aveva avuto il coraggio di entrare, temendo per la sua incolumità. Aveva chiamato la Security, una guardia giurata era arrivata dopo dieci minuti, era entrata con prudenza nella stanza e aveva scoperto la vittima con la faccia spappolata. Nessun altro presente. E nessuno aveva visto niente. Niente estranei, tantomeno armati. L’assassino evidentemente doveva essere un professionista e si era dileguato senza lasciar traccia.
«Ah, doveva essere un professionista! Ma sei un vero genio, Marra! Un killer che si introduce in un ospedale e giustizia qualcuno con la lupara è evidentemente un professionista... e la faccia è completamente spappolata, così la vittima non è neanche riconoscibile! Siamo messi proprio bene, Marra, te la sei fatta dare almeno la cartella clinica del paziente? Ci sono parenti, familiari?... Hai bloccato l’intero reparto, in modo che non possa uscire ed entrare nessuno? Ma possibile che ti debba dire tutto io?».
«Ho interrogato già qualche infermiere, il professore direttore del reparto non c’è, c’è un medico di guardia che mi ha fatto vedere la risonanza magnetica del paziente, un caso disperato...».
«Marra, tu mi fai andare in bestia! E così tu te ne intendi di risonanze magnetiche, eh? E chi ti dice che la risonanza non appartenga a qualcun altro? Ah, tutte a me devono capitare. Va bene, va bene, arrivo, lo sapevo che oggi la giornata non prometteva niente di buono, fai in modo che fra mezz’ora siano tutti lì, anche il signor Professore, se no faccio un macello... ripassami Mondaini!».
Marra le ripassò Mondaini, attraverso il centralino.
«Mondaini, mandami una macchina, immediatamente!».
«Sì, subito, dottoressa... però... tuttavia... veramente, commissario, ci sarebbe un altro fatto, di una certa gravità, qualcosa che...».
«Qualcosa cosa? Ti vuoi sbrigare che ho fretta?».
«Beh, veramente, commissario, non si alteri, mi promette che non si altera?».
«Mondaini, o parli o appena arrivo ti taglio la lingua, hai capito?».
«Sì commissario, sa... si ricorda di Costa Santuzzo, quello del caso della gioielleria? Quello che lei fece parlare dopo due giorni di interrogatorio?».