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Uwe Timm ama raccontare storie, biografie vere o inventate. "La scoperta del Currywurst" (1993) è la biografia inventata di Lena Brücker, anziana signora di novant’anni, cieca e inventrice del famoso Currywust. Lena però vuole parlare di altro, di un amore insolito e segreto per un marinaio disertore. Anche in “Come mio fratello” racconta di una biografia, questa volta verissima. La storia di suo fratello Karl-Heinz morto a diciannove anni, nel 1943, durante l’invasone dell’Ucraina. Karl-Heinz si era offerto volontario nelle Waffen-SS. Dopo moltissimi anni Uwe cerca di capire qualcosa di quel fratello, di cui ricorda pochissimo, del perché si offrì volontario, del diario minimo scritto durante il servizio militare. Suo fratello ha assistito ai massacri di civili, di ebrei, era a conoscenza della “soluzione finale”? Quando scrive sono passati sessanta anni dalla morte del fratello, la Germania ha dimenticato: “Dopo la guerra l’obbligo di eseguire gli ordini lasciò in libertà gli autori dei massacri, permise che ritornassero a essere giudici, periti medici, poliziotti, professori.” Un oblio che Uwe Timm non può accettare, così rovista nella vita dei genitori, della sorella, di un passato orribile e ordinario, di violenze, di manganelli, di pallottole alle tempie, di deportazioni, di intricate giustificazioni, di fanatismi, di gambe amputate, di biondi ariani, di idioti, di adulti diventati piccoli, di viltà e fanatica disciplina. Ricordare, ricordare perché l’oblio è un segno di demenza per le persone e per le società.
La cosa che più colpisce di questo libro è il coraggio dell'autore. Il coraggio di affrontare, e smascherare, il silenzio familiare sull'adesione del fratello, all'epoca un ragazzino, al nazismo militante. E il coraggio di sfidare un tabù che nel dopoguerra, in Germania, durò ancora a lungo: come parlare dei crimini di guerra tedeschi. Qui abbiamo uno scrittore cresciuto nella nuova democrazia tedesca che, indagando sulla tragedia del fratello volontario SS morto a 19 anni sul fronte orientale, in realtà fa i conti con le ipocrisie e le bugie della generazione dei padri. Libro duro, a tratti forse ripetitivo. E però narrazione toccante, sensibile, ammirevole. La cultura della memoria nel senso migliore.
La prima parte della narrazione è molto forte e coinvolgente, quando siamo immessi nel mondo di una famiglia tedesca in epoca nazista che perde il figlio in Ucraina, dopo che gli sono state amputate le gambe. L'autore segue con sensibilità angosciata la vita di suo fratello e per tutta la vicenda la domanda, implicita o esplicita è: COME MAI NON HA CAPITO LE ATROCITà NAZISTE? E SE Sì, IN CHE MISURA LE HA CONDIVISE? A questa domanda, come quasi sempre, non c'è risposta. Un ragazzo "normale" va a compiere azioni orribili, le peggiori che la storia annoveri... come se niente fosse, come è possibile? Questa è la domanda fondamentale di tutta la storia nazista, la cupa piaga su cui non si finirà mai di interrogarsi. Così anche i genitori dell'autore sembrano poco o nulla consapevoli dell'orrore che si sta compiendo in nome della nazione tedesca e sono essenzialmente più che altro interessati alle loro disavventure economiche e al piatto soggiacere dei valori imposti dalla cultura dominante. Sembra essere più consapevole la mamma, ma sempre in modo blando e irrisolto. L'autore invece ha ben presente tutto il nodo centrale della questione e ci si interroga e ci si arrovella, tuttavia la seconda parte perde di mordente, sfilacciandosi in descrizioni dettagliate delle vicende familiari che fanno quasi perdere di vista il tema conduttore.
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