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La prova che in poesia anche la derisione, l'insulto, l'offesa e il feroce attacco possono farsi traccia eterna, musica riuscita, spinta cruda e sincera contro bassezze e orrori e antipatie, è tutta in questo libriccino. Tanti sono stati i tributi a Dante e alla sua gloria in questo dovuto centenario. Qui si aggiunge una trovata bellissima, pagine che vanno a scovarlo nei suoi anfratti d'acredine, negli antri senza riguardi, fra righe più scaltre e più nervose dove - e questo conferma il suo miracolo linguistico - pur tra le accuse più volgari, la grandezza restituita dal verso non scuce mezzo filo nella sovrana tessitura dell'insieme. Viene perciò da assolversi a leggere certi passaggi, come in una gerarchia rispettosa dove noi tutti, povere insettucole pedine, possiamo quasi emendarci senza bisogno di pretesche penitenze, scoprendo che al punto più alto di immani canzonature, di epiteti e slanci e vere cattiverie, ha agito la voce del più grande dei Poeti. Tanto per tratteggiare un esempio, gettiamoci con lui e col suo Duca nel 18° Canto dell'Inferno, in pieno Malebolge: "...di quella sozza e scapigliata fante/ che là si graffia con l’unghie merdose,/ e or s’accoscia e ora è in piedi stante./ Taide è, la puttana che rispuose/ al drudo suo quando disse "Ho io grazie/ grandi apo te?": "Anzi maravigliose!". Ma la cartina è infinita, piena com'è di "poppe", di "bordelli", di "sozzure" e "sterco" e "porci in brago" e "bozzacchioni", per poi affacciarsi al foro del "trullare", l'umana orchestra di chi se la scorreggia. Dunque come "del cul si può fare trombetta", della penna si può fare altezza di magnifico castigo, e bollare senza mezze forme il peggio degli istinti e delle scelte, di episodi come di intere biografie. La parola è lì a dircelo nel suo sterminato reame di possibilità, simile a una furia plasmata ad arte dalle segrete capacità di chi parla, di chi genera. La cattiveria nel Poeta è indispensabile. E' divina.
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