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Con una prosa gonfia e con un'ostentata ricerca di immagini che rasentano il giovanilismo vitalista più sciatto e frusto, questa donna ci sbatte sotto il naso l'almanacco delle letture di Samuel Beckett. Cerca poi affannosamente di giustificare ogni gesto di un Beckett che qui viene dipinto come una sorta di Gandhi dublinese; tenta inoltre, ma le riesce assai difficile, di praticare un'indagine psicologica sul soggetto in questione (elogio e analisi però non vanno granché d'accordo...), "indagine" a proposito della quale il lettore si sente un po' a disagio data la palese ingenuità che esibisce: è un'indagine fatta da un super-io a un super-io... in altri termini, superficiale (non si può amare l'oggetto di un'analisi). Qui e là trapela qualche aneddoto interessante, qualche aspetto che rende Beckett qualcosa di diverso da una macchina a gettoni ambulante che, se schiacci un bottone ti detta un passo in italiano antico, se ne premi un altro ti traduce un distico, e se la lasci inutilizzata impazzisce e non la smette di recitare versi a memoria... Qua e là emerge un Beckett "avvicinabile", un Beckett guardato e non giustificato, un Beckett meno improbabile (l'eccessiva concentrazione tematica produce ritratti improbabili): e così si gode un po'; ma l'idillìo dura poco, e si torna subito a descrivere il meccanismo di quello strano juke-box umano non-umano (un po' come il Pozzo di "Waiting for Godot"...)... Bellissimi i 9 ritratti di Beckett di A. Arikha, marito dell'autrice.
Recensioni
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Le testimonianze intorno a Samuel Beckett non si contano, vanno ormai a costituire una vera e propria forma di letteratura, con esiti estremamente eterogenei, più o meno felici (e anche, ovviamente, con non pochi manierismi), in un repertorio che include testi di numerosi attori, come anche gli Esercizi di ammirazione di Emile Cioran. Il fatto che l'autore irlandese sia stato, per molti aspetti, poeta in primo luogo del silenzio, praticato come difesa dal mondo e allo stesso tempo come modalità di decifrazione del reale, fa sì che molti abbiano voluto raccontare a ogni costo la quotidianità di questo straordinario creatore, riempiendo i vuoti o fornendo motivazioni più o meno plausibili, per un agire complesso, stratificato. Tra i vari esempi disponibili in Italia sono da citare almeno l'intervista di Lawrence Shainberg (minimum fax, 1996), gli Incontri con Samuel Beckett di Charles Juliet (Archinto, 2000) e le Conversazioni di Mel Gussow (Ubulibri, 1998).
Mentre gli eredi dimostrano una volontà sempre più ferrea e miope di regolamentare ogni rappresentazione nel mondo sulla base di una rigida filosofia del controllo, giunge ora in libreria un buon esempio di racconto beckettiano: Com'era. Un ricordo di Samuel Beckett di Anne Atik. L'autrice, poetessa e giornalista, israeliana per nascita e americana di adozione, a lungo residente a Parigi, è la moglie dell'artista Avigdor Arikha, legatissimo al mondo beckettiano; suoi sono infatti i numerosi ritratti disegnati del poeta irlandese che illustrano questo libro. Il pittore fu tramite con numerosi artisti (tra l'altro con Alberto Giacometti, che realizzò lo scheletrito albero per una famosa edizione parigina di Aspettando Godot) e fu consulente iconologico per la realizzazione del magnifico Film, diretto da Alan Schneider e interpretato da Buster Keaton. Sono proprio le opere grafiche a tutti gli effetti il maggiore elemento di attrattiva del volume, perché vanno a costituire il diario di una quotidianità di affetti, scandita da continue discussioni, letture di poeti (francesi, inglesi, spagnoli, italiani, con la consueta netta predilezione per Dante, che compare in numerosi punti), da colossali sbronze dei due signori, nel fitto fumo di celebri locali della capitale francese.
Colpisce come Atik, che cita continuamente l'agiografica biografia di James Knowlson, abbia tentato di tenere un diario degli incontri, prendendo appunti subito dopo la loro conclusione, per non offendere l'augusto ospite di casa, e nel fluire minuto, e spesso non troppo avvincente, di aneddoti colpisce l'idea della necessità di testimoniare un destino singolare, imprevisto, con una logica di rappresentazione non troppo distante dall'altrettanto caloroso omaggio che Thekla Clark ha dedicato ad Auden (edito in Italia con il titolo Mio due, mio doppio, Adelphi, 1999). Se madame Suzanne, rigorosissima consorte, si definiva una "badessa", segnalando la propria decisa volontà di rinunciare a ogni smanceria, altrettanto spicca il consueto profilo di un autore che voleva sempre disfarsi di denaro e di beni e che decideva sempre di vivere con meno; numerosi fogli manoscritti o battuti a macchina danno infine conto anche visivamente di un dialogo articolato, continuamente ripreso e interrotto. Luca Scarlini
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