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Anno edizione: 2019
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Non è il caso quindi di domandarsi se c’era davvero bisogno di un nuovo album di Neil Young giacchè più che l’elevato numero di uscite, che in realtà anche ai tempi d’oro erano sempre e comunque di una media di una uscita all’anno, è da ammettere che si tratta spesso di progetti estemporanei e non sempre molto ispirati. Questo ennesimo album è un po’ un ritorno alla zona di comfort assicurata dai Crazy Horse, a cui periodicamente fa ritorno, dettata dalla proverbiale massiccia presenza del muro di chitarre, da lunghe divagazioni strumentali inframezzate però dalle consueteintime ballads tipicamente younghiane. E sono proprio queste ultime (“Think of me”, Eternity” “I do”), impreziosite spesso dal piano oltre che la consueta armonica a bocca, ad essere gli episodi più riusciti, osservazione che stona con il disco che segna proprio il ritorno dei Crazy Horse. Un disco che apparirebbe monocorde e piatto per chi non è avvezzo a seguire Neil in tutte le sue scorribande, un album onesto invece per il fan attento e di lunga data. Siamo di nuovo quindi ad indicare un nuovo lavoro non “brutto” ma “inutile” e forse anche le tematiche ambientaliste , ancora presenti e a dir il vero un po’ sconclusionate, iniziano a segnare la corda.
Fa un pò specie constatare come artisti di un certo peso ma pure di una certa età sfornino in maniera quasi compulsiva nuovi album di inediti, invadendo un mercato già saturo. Ma devo ammettere che di fronte a certi nomi, quali Van Morrison o Neil Young, la cosa non dispiace anche se poi ci si accorge che qualche lavoro di troppo, magari non per forza “brutto” ma sicuramente “inutile”, è in effetti stato pubblicato. Non sorprende quindi che il buon vecchio Neil si presenti con questo nuovo “Colorado” ma il primo elemento da sottolineare è il ritorno con i compagni di sempre Crazy Horse assenti DAL 2012 e addirittura la presenza di Nils Lofgren come featuring aggiuntivo (che se non ricordo male è dai remoti tempi di “Tonight’s the night” che non compariva al suo fianco in maniera determinante , a parte la parentesi di “Trans” del 1982). Non è il caso quindi di domandarsi se c’era davvero bisogno di un nuovo album di Neil Young giacchè più che l’elevato numero di uscite, che in realtà anche ai tempi d’oro erano sempre e comunque di una media di una uscita all’anno, è da ammettere che si tratta spesso di progetti estemporanei e non sempre molto ispirati. Questo ennesimo album è un po’ un ritorno alla zona di comfort assicurata dai Crazy Horse, a cui periodicamente fa ritorno, dettata dalla proverbiale massiccia presenza del muro di chitarre, da lunghe divagazioni strumentali inframezzate però dalle consueteintime ballads tipicamente younghiane. E sono proprio queste ultime (“Think of me”, Eternity” “I do”), impreziosite spesso dal piano oltre che la consueta armonica a bocca, ad essere gli episodi più riusciti, osservazione che stona con il disco che segna proprio il ritorno dei Crazy Horse. Un disco che apparirebbe monocorde e piatto per chi non è avvezzo a seguire Neil in tutte le sue scorribande, un album onesto invece per il fan attento e di lunga data.
Grande album, Neil Young riesce sempre a dare il meglio con i Crazy Horse. C'è tutto, le chitarre graffianti, la poesia, la rabbia, e uno sguardo lucido sulla nostra società...gli dessimo solo un po' piu' retta...
Recensioni
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