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Libro originale, non solo dal punto di vista stilistico (ha infatti un impianto prosastico e colloquiale, intessuto di stratagemmi fonetici che lo rendono facilmente memorizzabile), ma anche nelle scelte tematiche, sospese tra autobiografia e meditazione metafisica, interesse scientifico e critica sociale. Chiarezza, esibita semplicità, amara ironia, pungente risentimento etico, compiaciuto distacco dalle mode letterarie attuali, sono gli ingredienti distintivi di questa prova di Rigoni, che in essa fa tesoro della sua riconosciuta abilità aforistica, come della profonda conoscenza dei testi dilanianti di Emile Cioran, di cui è stato traduttore e amico. A queste non comuni caratteristiche si aggiunge la riflessione malinconicamente consapevole della transitorietà del vivere, della tragica inessenzialità umana nello scorrere dei millenni e negli sconfinati abissi del cosmo. Molte composizioni si interrogano sugli aspetti materiali dell’esistenza, dalla meteorologia alla mineralogia alla storia, con una rivisitazione di personaggi illustri, antichi e moderni. Se non sono dimenticati luoghi e oggetti, piante e animali, gli amici e gli affetti più cari, la cifra caratterizzante la raccolta sembra essere la valutazione del senso dello stare al mondo. In questi versi si alternano infatti il sarcasmo come arma di difesa dalla paura del niente, e l’indulgente considerazione della propria vanità, nella lotta eterna tra cielo e terra, salvezza e perdizione, speranza e delusione. La vita è di per sé contraddittoria, dipende più dal caso che dalla necessità: l’autore ne accetta stoicamente le conseguenze, con un laicismo scettico e sconfortato, capace comunque di una briosa serenità. Nella sua penetrante postfazione, Francesco Zambon rileva come la filosofia sottesa alle poesie di Rigoni abbia un’impronta stoico-gnostica, e rispecchi “la visione di un mondo e di una storia dominati da un male irriducibile e senza via d’uscita, governati da un dio perverso o indifferente”.
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