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Mettete insieme un po' di personaggi femminili disposti all'autoanalisi e create tra di loro un clima di complicità e di collaborazione: la confidenza cresce, la lingua si scioglie, saltano fuori storie più che sufficienti per farci un buon libro. O almeno un turbante. Lo aveva dimostrato già Almudena Grandes, con Atlante di geografia umana (1998; Guanda, 2001). Lo conferma da Lugo, in Galizia, María Reimóndez, classe 1975. L'associazione dove sei donne si ritrovano per imparare a sferruzzare è uno spazio che cresce fino a diventare indispensabile, un rifugio dal mondo pieno di strampalati affetti e un'ottima scusa per dimenticare. Per Rebeca, che vive la sua bellezza da copertina come una condanna, il club è un luogo dove dare calci. Anxos, stanca della sua routine di coppia e ancora più dei meeting politici, scopre che il vero femminismo è lì, tra i fili di lana e cotone, in un luogo dove non servono le parole. Luz sceglie il club perché è il punto più lontano da casa sua, dove la madre la costringe a fare la prostituta. L'anziana e religiosissima Elvira, che sogna di diventare prete, fa del circolo la sua chiesa ideale. La calzetta è un riparo anche per chi ha gravi problemi fisici o conti in sospeso con il passato, come Fernanda e Matilde. Le sei donne riconoscono, raccontandosi, che gran parte della trama della loro esistenza è fatta di frustrazione, ma impiegano caparbiamente tutte le loro energie per realizzarsi nonostante tutto. Nel club imparano soprattutto a credere in se stesse e scoprono che il tessuto più resistente è l'amicizia e la solidarietà. Sullo sfondo si intravede una Spagna effervescente, dove una politica sociale attenta contribuisce all'atmosfera ottimista. L'esaltante finale corale rivela la convinzione dell'autrice (presidente di una Ong che si batte per il superamento delle discriminazioni di genere) che si possano smuovere le fondamenta dei problemi. In più, l'editore italiano è stato così veloce da anticipare addirittura la versione castigliana di quest'opera. Barbara Minesso
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