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Città italiana e città europea. Ricerche storiche - Marino Berengo - copertina
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Città italiana e città europea. Ricerche storiche
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Città italiana e città europea. Ricerche storiche - Marino Berengo - copertina
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Descrizione


Il concetto di capitale e i rapporti fra città e contado, l'identità dei ceti dirigenti e le basi del potere nobiliare, la "decadenza" italiana e la crisi degli ordinamenti comunali... Una lettura classica della storia della civiltà urbana europea e del suo carattere distintivo: l'amore per la libertà (l'aria della città rende liberi, si diceva nel medioevo). "La brusca sconfitta di quella civiltà, che non ebbe per contropartita la formazione di stati solidi nelle loro strutture amministrative e giudiziarie, ma si espresse nel trionfante particolarismo dei corpi, nella pigra custodia di privilegi nuovi e antichi, in un'egemonia nobiliare condannata a un precoce invecchiamento dal cessare d'ogni competizione e d'ogni alternativa di ricambio, apre quella che fu la più certa e la più lunga età di decadenza nella storia dell'Italia moderna."
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Dettagli

2010
2 dicembre 2008
303 p., ill. , Brossura
9788881036059

Voce della critica

Questa raccolta comprende, oltre a un saggio inedito sul passaggio di Ferrara dalla dominazione estense alla dominazione pontificia (1598) e alla riproposizione di una sintesi sulla storiografia italiana dopo la seconda guerra mondiale uscita in una poco diffusa rivista inglese, nove testi usciti nell'arco di un quarto di secolo tra il 1970 e il 1994, variamente connessi con il tema della storia della città italiana ed europea in età tardomedievale e moderna, sino alle soglie della "cesura" costituita dalla Grande trasformazione industriale (e per quanto riguarda l'Italia varrà subito la pena di ricordare che Berengo riflette su questi temi dagli anni sessanta, dunque dal boomeconomico in poi). Si tratta di contributi vari quanto al genere letterario (relazioni di convegno, ma anche recensioni o discussioni, o rassegne storiografiche); di dimensioni assai diverse l'uno dall'altro (a volte, assai contenute); usciti quasi tutti in sedi editoriali di rilievo, e complessivamente ben noti agli addetti ai lavori, anche perché l'autore (1928-2000) è uno dei più celebri e celebrati storici italiani del Novecento.
Apparentemente, dunque, nulla più del consueto e un po' banale omaggio a un grande studioso scomparso. E tuttavia, una ragione dell'utilità di questa raccolta la si può già trovare nel fatto che essa ripropone in maniera più affabile e più leggibile, in sintesi di grande efficacia, quei temi di storia urbana che hanno accompagnato tutta la carriera dell'autore, dagli anni cinquanta alla fine del secolo scorso, e con particolare intensità e continuità dagli anni settanta: temi che Berengo ha poi accumulato piuttosto che fuso in quel monumentale volume che è L'Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra medioevo ed età moderna (Einaudi, 1999; cfr. "L'Indice", 2000, n. 2), che è stato ampiamente discusso e recensito al momento della sua pubblicazione. L'autore con civetteria lo definì un volume "compilativo": ma si tratta effettivamente di un lavoro estremamente analitico, fittissimo di cose, di nomi, di luoghi, di dati, la cui imponente erudizione e vastità di orizzonti geografici (dal Portogallo ai paesi baltici, dalla Sicilia alla Scozia, sull'arco dei sei-settecento anni che vanno dalla rinascita urbana successiva al Mille – dalla rinascita delle libertà comunali – alla fine del Settecento) scoraggia la lettura sistematica e ne suggerisce piuttosto un'utilizzazione per tagli problematici.
La raccolta di saggi curata da Marco Folin ripropone – nel loro sempre più netto delinearsi nella mente dell'autore, ma senza rotture significative – alcuni orientamenti di fondo sulla storia della città italiana ed europea che Berengo aveva fatto propri appunto sin dagli anni cinquanta. A quell'epoca, studiando il caso di Lucca, Berengo deviò sul versante sociale e politico una ricerca sulla storia religiosa cinquecentesca della città toscana che uno dei suoi maestri d'elezione (Delio Cantimori) gli aveva proposto o suggerito. Lo fece perché spinto dall'esigenza insopprimibile per lui di studiare il quadro sociale, culturale e politico nel quale quelle opinioni eterodosse nascevano; e affrontò così la gamma vastissima delle fonti d'archivio (le amatissime filze notarili, gli estimi e la documentazione fiscale, gli atti dei consigli civici) indispensabili per ricostruire tale contesto urbano. Più o meno espressamente, per ragionare sulla storia urbana Berengo si scelse allora e dopo un altro interlocutore d'alto profilo, a lui più congeniale per interessi e sensibilità rispetto a Cantimori: si tratta di Gino Luzzatto, e con lui, in certo senso, dell'intera "scuola economico-giuridica" di Salvemini e (assai meno) Volpe. È la migliore tradizione storiografica italiana del primo Novecento, fortemente legata alle radici erudite, al documento scritto, che proponeva nei suoi risultati migliori una specie di "histoire totale" ante litteram: nella quale politica, società, diritto ed economia si intrecciano in una ricostruzione compiuta. La forte attenzione alla dimensione economica, non insensibile alla visione marxista così come al peso dei numeri (per quanto Berengo non sia certo un demografo) e al condizionamento dell'ambiente, non sfocia mai nel determinismo ed è sempre sorretta da una grande erudizione, da amplissime letture, da finezza e misura interpretativa.
Nelle due sezioni principali della raccolta curata da Folin predominano appunto la dimensione politica e quella sociale del mondo urbano, che Berengo studiò con crescente intensità soprattutto a partire dagli anni settanta. Oggetto dei suoi lavori sono dunque, per un verso, i rapporti fra città e contado in Italia durante l'età moderna, il ruolo della città capitale (burocratica, economicamente parassitaria) nel processo di formazione dello stato (e dunque la presenza o assenza della corte), le forme di autogoverno cittadino dall'età comunale in poi. Per l'altro verso, lo storico veneziano approfondisce la struttura e l'autocoscienza dei ceti dirigenti urbani (in particolare la nobiltà cittadina e i patriziati, concetto questo congeniale a Berengo, a indicare le élite di origine tardomedievale che mantengono a lungo l'egemonia), in contrasto e in dialogo con gli altri ceti sociali: artigiani, clero cittadino. In molti casi, questi temi sono approfonditi anche valorizzando con finezza le fonti letterarie (Berengo del resto fu anche un grande storico della cultura): come nel caso del brillante saggio su Foscolo e il mito del patriziato, originato da un passo delle Lettere di Jacopo Ortis. Mi sembra cruciale osservare che in questi studi lo stato, lo stato moderno che nella sua forza e nelle sue debolezze ha costituito "il" problema della storiografia politico-istituzionale sull'Europa moderna degli ultimi cinquant'anni, è sì presente, ma soltanto sullo sfondo e mai come ipostatizzazione del progresso; così come non compare la chiesa, bensì le concrete istituzioni ecclesiastiche urbane come le parrocchie e i capitoli delle cattedrali (anche se a dire il vero è solo il volume del 1999 che restituisce a esse il posto che loro compete). Onnipresenti sono invece il background agrario e l'assetto manifatturiero della storia di ogni città considerata. E tutto ciò vale non soltanto (com'è ovvio) per le città di tradizione comunale dell'Italia centro-settentrionale (terre di governo collegiale e "patrizio" e di non spenta partecipazione al governo civico pur nella soggezione a Venezia dominante o a un viceré spagnolo), ma anche per gli spazi monarchici della Spagna di Filippo II, dell'impero, della Francia e dell'Inghilterra.
Per riprendere la solita frusta contrapposizione, nella sua attività distesa lungo l'intera seconda metà del Novecento Berengo ha dunque studiato la civitas, non la urbs. E qui sta un altro nodo importante da sciogliere, per comprendere questo volume e in generale l'impostazione dell'autore. La dimensione urbanistica in senso proprio e, sul piano delle fonti, la documentazione spaziale e in senso lato visiva (compresa l'iconografia urbana, la cartografia, i dipinti, lo stesso tema pur così suggestivo e rivelatore dell'effimero urbano – cerimonialità e ritualità urbano-civica, entrées royales – oggi tanto di moda) gli sono sostanzialmente estranee, com'egli stesso ribadisce espressamente, con forza sin eccessiva, in limine alla grande monografia del 1999. E ciò resta vero anche se le ricerche di Berengo, nella loro sempre vigile concretezza, sono per esempio e ovviamente molto attente alla distribuzione degli individui (delle famiglie aristocratiche, dei ceti produttivi) all'interno dello spazio urbano e utilizzano a dovere sul piano comparativo, in efficaci contrapposizioni, le tipologie basilari della città europea (formalizzate in una nota antologia sui Modelli di città curata da Pietro Rossi, Einaudi, 1987: la città comunale, la città rinascimentale, la città islamica, quella bizantina e così via).
Non sorprende dunque che a curare questa raccolta di saggi, dotandola di un'ampia e importante introduzione (Marino Berengo storico della città europea), che è anzi uno dei punti di forza del volume, sia stato Marco Folin: un allievo di Berengo che ha praticato "alla Berengo", con eccellenti risultati, la storia politica e sociale di una città rinascimentale italiana (Ferrara), ma che è anche storico dell'architettura e dell'urbanistica. L'uso di questa locuzione, che richiama insegnamenti e settori scientifico-disciplinari presenti nell'ordinamento universitario italiano, è da parte mia intenzionale. Serve per dire che l'ampio saggio preposto da Folin ai saggi ristampati è parte integrante del volume, in modo più pertinente e incisivo rispetto a quanto non accada in altre operazioni editoriali consimili. Ma, soprattutto, serve per dire come, attraverso la ricostruzione del percorso di Berengo, Folin metta a nudo le difficoltà tipicamente italiane di far dialogare in modo fruttuoso, dagli anni sessanta-settanta in poi, la storia politica, sociale ed economica delle città medievali e moderne con la storiografia urbanistica italiana, praticata in modo quasi esclusivo, a lungo, nelle facoltà di architettura. È una storiografia ben capace (ovviamente) di descrivere manufatti urbani complessi e stratificati come sono quelli della penisola, che è elettivamente terra di città rispetto al resto d'Europa; eppure succuba ancora della tradizione idealistica, che sorregge una concezione dell'urbanistica come sottoprodotto della storia dell'architettura in termini estetici (Ragghianti, Giovannoni, Piccinato) e rivendica l'idea di "piano" alla storia dell'arte. Per un verso, essa è quindi propensa a studiare anche nel passato (non senza eccessi formalistici, come nel caso del compianto Enrico Guidoni) le progettualità, le città ideali e di fondazione. Per un altro verso, valorizzando l'ovvia dimensione "politica" della ricerca urbanistica, trova naturale dialogare piuttosto con i geografi e con gli studiosi di programmazione territoriale e di scienze sociali (e dunque piuttosto che con gli storici tout court, gli storici "tradizionali"). La ricostruzione su questo "scenario non privo di ombre" (Folin), sullo sfondo della quale si dipana la biografia intellettuale di Berengo storico della città, e il suo dialogo con tale tradizione di studi – un dialogo non facile, perché oltre che poco sensibile a fonti diverse da quelle scritte l'autore era risolutamente ostile a ogni specializzazione settoriale (la ricerca, per essere feconda e vitale, deve mescolare le domande e le prospettive) – diventa dunque anche l'occasione di un bilancio epistemologico-storiografico di viva attualità. Gian Maria Varanini  

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