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Il volume, uscito in Francia nel 1957, ci accompagna in una sarcastica e crudele passeggiata lungo i vialetti, i sepolcri e gli ossari del Père Lachaise, il cimitero più famoso di Parigi, dove riposano artisti, politici, eroi di guerra, filosofi e insomma il beau monde della cultura e della società internazionale. Un circo di esibizionisti vanitosi, questo camposanto raccontato da Jullian, che di santo ha molto poco: i defunti mantengono gli stessi vizi e le stesse smanie che li abitavano in vita, indossano uguali drappeggi, si muovono con la flemma o il parossismo che li caratterizzava durante la loro esistenza terrena. Di notte si incontrano tra di loro, uscendo dalle tombe, offendendosi e lusingandosi a vicenda; durante il giorno spiano i visitatori dietro le sbarre delle cappelle, o dalle fessure delle tombe di famiglia, soddisfatti se si scoprono rimpianti e lodati, delusi quando si sentono trascurati. La varia umanità che Jullian rappresenta con schizzi incisivi e impietosi è composta da famiglie dispotiche, vedove inconsolabili, accademici boriosi, avventuriere, austeri generali, vegliardi incartapecoriti. Ci sono anche gli straccioni, irriguardosi e irridenti la spocchia di chi si vanta dell’immortalità, pur sapendo di essere destinato come tutti all’oblio perenne. I commenti salaci dell’autore chiosano illustrazioni altrettanto, o forse più, mordaci, che raffigurano volti deturpati dal vizio, corpi sfasciati, in un tripudio di carnevalesche oscenità, accompagnate da orchestrine stridule e balli indecorosi. Teschi, scheletri, orbite incavate, tibie e scapole sporgenti da vesti sontuose o da stracci, sono il perpetuo memento della caducità, del transeunte. La rassegna del grottesco e della volgarità che l’autore di questo lussureggiante e disperato carosello ci offre, si presenta come uno sberleffo fatto alla morte e alla vita che l’ha preceduta, meritando l’inferno o il purgatorio in cui è precipitata: mai, assolutamente mai, il paradiso.
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