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Opachi sono stati recentemente definiti da un volume pesarese (Schemi opachi, Marsilio, 1998; cfr. "L'Indice", 1999, n. 3) gli anni ottanta del cinema italiano. Ma anche maledetti, oppure - e qui il riferimento può andare anche ai novanta - nuovi, giovani, perfino - con brutta espressione - "neo-neo" (-realisti). Un po' degli anni reaganian-berlusconiani, molto e soprattutto dell'ultimo decennio del Novecento parla questo volume del critico-regista-professor Zagarrio, ben articolato nelle molte e opportune diramazioni (culturali, economico-produttive, ricettive, critiche), meno felice - spiace dirlo - nella scrittura e in alcune troppo rapide sintesi definitorie (si vedano le osservazioni, pur positive, su Teatro di guerra di Martone o certi rapidissimi elenchi dentro i paragrafi tematici). D'altronde l'impianto è quello - necessario - del volume di sintesi, dello sguardo d'insieme ma, talora, più ravvicinato, su un periodo non facilmente né sbrigativamente decifrabile. Per orientarsi meglio nella navigazione l'autore si affida anche ad "approdi" che si chiamano Tunnel (reali e metaforici, ad esempio attraversati in film come Italiani di Maurizio Ponzi), Città (nello sguardo ora di Antonello Grimaldi ora di Mimmo Calopestri), Siciliani (Ciprì e Maresco e Roberta Torre), Partenopei, Ritorni, Viaggi, Generi, Letteratura, Antagonismi. A questi complementari sono i riferimenti più prettamente tematici, denominati conflitti sociali, Droga, Degrado sociale e sport, Emarginazione e lavoro, L'altro, Terrorismo, Mafia e camorra, Conflitti familiari, La malattia mentale, Ideologia, La cronaca. Ovvero gli argomenti più frequentati da sceneggiatori e registi nel decennio. Ma su tutti questi temi e percorsi anche Zagarrio non può non registrare e far emergere la dominanza di una italica commedia, a (quasi) nuova vita restituita nel 1986 con Speriamo che sia femmina di Monicelli e negli anni novanta praticata da qualunque menestrello (untorello) che abbia calcato anche per cinque minuti una scena di cabaret. Su quella che personalmente considero una vera e propria piaga, a tutt'oggi ancor più dilagante, Zagarrio mostra fin troppa indulgenza, a conferma di un certo buonismo diffuso per tutto il volume. Tuttavia la sua cultura e formazione italo-americana non è provinciale, dunque gli permette di accorgersi dei molti limiti (soprattutto in fatto di stile di regia) di tanto cinema nostrano odierno, cosicché quello che egli chiama "uno sguardo diverso (...) pesante e pensante" lo attribuisce giustamente a opere quali Un'anima divisa in due di Soldini e a Caro diario di Moretti e ad autori su cui davvero si può contare, come Amelio e Martone. Vi sono poi - e Zagarrio fa bene a notarle - tante schegge di bel cinema in quelli che nella sostanza sono film. L'elenco è piuttosto lungo ed è meglio rimandarlo alla lettura diretta, ma bisognerebbe ricordarsi sempre uno dei tanti insegnamenti del sublime Buñuel, che nella sostanza recita: ogni film può avere cinque minuti buoni, ma questo non significa fare del cinema. E la conclusione stessa del volume reca l'osservazione che "l'ultima infornata dei film nostrani lascia interdetti", tanto che "la strada da percorrere [è] ancora lunga". Marco Pistoia
scheda di Pistoia, M. L'Indice del 1999, n. 05
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