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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2010
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recensione di Moscariello, A., L'Indice 1998, n. 9
L'"effetto cinema" nella narrativa non è certo una cosa nuova. Almeno a partire dagli anni trenta i temi e i modi della mitologia cinematografica hanno influenzato i romanzieri nell'adozione di tecniche di scrittura (il "montaggio" in Dos Passos e in Hemingway), quando addirittura non hanno provocato la nascita di nuovi "generi" (come il noir).
Negli ultimi decenni la crescente fascinazione subita dagli scrittori da parte del cinema ha prodotto un'estensione della ricaduta filmica sui libri che ha investito la qualità stessa della scrittura letteraria sul piano non solo della "dispositio" ma anche della "elocutio". Sono noti i casi del "Palomar" di Calvino o di "Comica finale" di Vonnegut, esemplari di uno scambio che riguarda proprio la "percezione" della pagina oltre che l'organizzazione del racconto. Un fenomeno confermato dagli ultimi esponenti del pulp nostrano (Ammanniti) che dal cinema derivano ritmi e tagli (di scene e di teste).
Ora i più sensibili a tali "cinescritture" non sembrano essere né gli italiani né gli americani. Sembrano essere gli argentini, come conferma questo "Cinebrivido" scritto da Josè Pablo Feinmann sulla scia di illustri precedenti dovuti ai connazionali Borges, Cortázar e Soriano, vale a dire di tre creatori di mondi basati su visioni, proiezioni e illuminazioni di una mente e di uno sguardo in ultima analisi "cinematografici".
L'eroe di Feinmann è un cinefilo che non si rassegna a essere né "triste" né "solitario" (come sono i suoi compatrioti) e allora decide di "crearsi un mondo" "ex novo" (che è quello che fanno tutti i registi), un mondo da servire sotto forma di sceneggiatura alla produttrice Greta Toland (!) per farne una "true story" esplosiva. Il guaio (o il bello) è che per fare ciò il nostro Fernando Castelli (così si chiama il cinefilo, al mattino commesso in una videoteca e al pomeriggio inserviente in una casa produttrice locale) si deve trasformare in serial-killer e, sotto la guida paterna di Jack lo Squartatore, procedere all'esecuzione di ben quattro delitti che firmerà con la sigla "Van Gogh". La mattanza procede spedita, finché sarà "una frase che non doveva dire" a tradire Fernando e a farlo finire nella trappola del malconcio ma sagace investigatore Colombres.
Tra scenario, saggio e diario "Cinebrivido "è un romanzo (o un film?) in corso di farsi dove le figure della mitologia hollywoodiana interagiscono con i personaggi reali in un gioco intertestuale fitto di citazioni e di riferimenti che l'autore dissemina da grande esperto di cinema di genere. Così, Linda Blair e Norman Bates parlano con Fernando e lui con loro, così la scena della doccia in "Psyco" viene ripassata, analizzata, mimata, sognata come il cult dei cult.
In realtà, sotto l'aspetto di un divertimento horror "Cinebrivido" è (anche) una riflessione amara sull'Argentina di oggi afflitta da vittimistica rassegnazione. Ma, sembra dire il postborgesiano Feinmann, finché c'è il cine, c'è speranza.
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