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Ottimo saggio sulla storia della psichiatria americana e, soprattutto, sulla genesi del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), edito puntualmente dall'American Psychiatric Association. La scelta dei due psichiatri, post-dottorandi al tempo della prima edizione (2002), d'inziare una stesura da questo manuale per argomentare così le anacronie, i difetti, la a-scientifictà e quant'altro del mondo psichiatrico, dalla diagnosi alla natura e definizione di molti disturbi, è stata più che azzeccata: il manuale rappresenta la realtà incarnata di una buona parte della primaria e secondaria formazione base della psichiatria più comune in America e non, sicchè l'oggetto di critica è proprio il manuale e tutto il mondo che in esso gravita, dall'associazione ai collaboratori che ne approvano validità e contribuiscono alle modifiche; non la psichiatria in sé, per quanto errato infine sarebbe non pensare che il manuale stesso rappresenti una fetta molto grande degli psichiatri attivi e del loro assunto nei tempi moderni, nonostante una prima distanza dall'APA. Ad esempio, dal ruolo influente di alcuni, ma dalle diagnosi discutibili in alcune cause e questioni giuridiche, capaci con le loro "sentenze" non solo di influenzare il parere giuridico di giudici e corti, ma anche quello dell'opinione pubblica, attraverso la risonanza mediatica che alcuni processi generano una volta entrati nella dimensione della cronaca giornalistica/scandalistica. Il saggio non è quindi un'opera scritta contro la psichiatria in sé, ma contro una certa psichiatria stabilitasi già nell'800, per quanto nei modi e contenuti minori; per poi mettere radici sempre più profonde e criteri di campo sempre più dilaganti, non rivendicando spesso a sé un metodo scientifico ed escludendo altre realtà, al fine così d'imporre un'autoarchia della medicina sul campo dei disturbi mentali, nella quale ad esempio la psicologia si è vista presto completamente tagliata fuori.
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