Testo spurio, inconsueto, questo Chiusi dentro di Maria Pace Ottieri segue la linea alta di una narrativa poco frequentata nel nostro paese che ha dato però prove straordinarie come quella di qualche tempo fa di Marina Jarre dal titolo Ritorno in Lettonia. Anche qui le memorie autobiografiche, sgorgate precise da dettagli d'uso, si innestano in una visione storica ben più ampia, ben più ariosa. Il centro è la casa di famiglia a Chiusi (un luogo double bind tra Tevere e Lazio), dove la scrittrice è costretta a tornare perché il nonno è morto e qualcuno, lei, deve occuparsi di rimettere a posto le crepe del tempo. In questo "paese cagionevole", chi scrive trova non tanto l'infanzia, quanto il passaggio dei genitori ormai morti, assediato da un'inestinguibile torma di forme animali, moleste per la casa e per lei che torna ad abitarla. I piccioni, le termiti, le tarme, la guerra senza quartiere da lei sferrata fino all'eccesso tragico di usare la corrente elettrica, sono presenze vitali contro cui scagliare con ironia la propria nostalgia per coloro che sono morti. All'interno del testo c'è poi una sorpresa: un breve carteggio amoroso tra Ottiero Ottieri e una giovanissima Tullia P. conosciuta nell'estate del 1943, in cui i due ragazzi si scambiano effusioni ma soprattutto commenti sul presente tragico di bombardamenti a Roma e occupazione nazista a Chiusi. Questo bozzolo di storia è posto con estrema cautela, senza enfasi ma piuttosto smorzato nei suoi tratti più concreti proprio perché la scrittrice sa bene quanto nella sua casa "non esita vocabolo più estraneo di 'lussuria': morale, estetica, economica, non parliamo di quella corporea". Spiritosa, mai fredda, spigliata, Ottieri fa risuonare nelle labirintiche stanze le radici etrusche insieme ai nuovi arrivati, i rumeni con cui condivide la sua strana, ambigua battaglia per salvare dall'usura i pavimenti, il tetto, le pareti. La strenua volontà di disinfestare, descritta con una verve davvero irresistibile, si scontra con il lato in ombra del tempo, con i danni che apporta, con i i buchi, le stoffe smangiucchiate, i colori sbiaditi ai quali si finisce per affezionarsi. Camilla Valletti
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