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Questa raccolta di poesie di Agota Kristof è pregiatissima. La Kristof, sfuggendo poco più che ventenne dall'Ungheria, si vede costretta a separarsi dai suoi quaderni di poesia. Le riscriverà, reinventandole, nella sua nuova patria, e continuando a scrivere nuove poesie, sia in ungherese che in francese. I temi sono quelli cari a tutta la letteratura della Kristof: il senso di smarrimento e di perdita, il ricordo, il desiderio di ricominciare una nuova vita, l'amore per gli affetti.
Lo smarrimento di sé, l’inappartenenza e l’isolamento presenti nella narrativa della Kristof si riflettono in questi versi, in cui tornano i temi propri della sua prosa: l’esilio, l’attesa, il desiderio, la paura, la rabbia, il rancore. La voce dell’autrice si esprime in una lingua che occupa uno spazio intermedio tra due culture: quella nativa, della memoria e del dolore, dell’abbandono e del tradimento, e quella franco-elvetica, avvertita sempre come condizionante e alterata, imposta da necessità esteriori. Così, sospesa tra due tradizioni letterarie mai del tutto assimilate, la sua poesia rivela uno stile assolutamente personale, secco, ridotto all’essenziale, privo di punteggiatura e con scarsa aggettivazione. I titoli stessi manifestano mortificazione e avvilimento; i colori prevalenti sono il bianco e il grigio; la stagione più descritta è l’autunno, con la nebbia, la pioggia, il fango delle pozzanghere. Vuoto, abbandono, squallore caratterizzano ogni ambiente: finestre e porte chiuse, corridoi bui, panchine azzoppate, giardini deserti, vie polverose. La natura, vegetale e animale, nasconde qualcosa di minaccioso e violento. Anche le allusioni alla morte, e in particolare al suicidio sono frequenti: “E amo gli amici morti che / non sono riusciti a sopportare / la lontananza e bella è la corda / quando culla corpi freddi / e bello è il veleno il gas il coltello”. Alla desolazione e all’ingiustizia non ci si può ribellare, se non rifugiandosi nel sarcasmo, nella violenza rabbiosa; l’odio di classe è percepibile nei versi dedicati agli operai, agli emigranti, ai diseredati, solidali tra loro nella pretesa di rivendicazioni sociali, quasi presaga però di una futura inevitabile sconfitta, a cui ci si prepara con rassegnata indifferenza. Il destino di esiliata politica della Kristof, si riflette prepotentemente accusatorio in ogni riga della sua scrittura, in versi e in prosa: condizione esistenziale dell'erranza, di un risarcimento impossibile. .
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