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Le chiese di Pio XII - copertina
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Le chiese di Pio XII - copertina

Dettagli

1986
26 settembre 1986
466 p., Rilegato
9788842027850

Voce della critica


recensione di Menozzi, D., L'Indice 1987, n. 6

Negli ultimi anni si registra un notevole interesse storiografico attorno al pontificato di Pio XII. Da un lato infatti la svolta del Vaticano II sembra consentire una presa di distanza critica - e quindi una più oggettiva valutazione - dell'ultimo rappresentante di quell'età "piiana" nella chiesa che si era iniziata con la condanna da parte di Pio VI della Rivoluzione francese e che il concilio, auspicando la cessazione della lunga inimicizia del cattolicesimo col mondo moderno, intendeva superare. Dall'altro lato l'emergere delle tendenze restauratrici dell'attuale papato pare favorire l'approfondimento delle caratteristiche della chiesa pacelliana, quasi alla ricerca di quelle linee di continuità con la stagione dell'intransigentismo cattolico che l'evento conciliare non è riuscito a spezzare.
Questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno tenuto all'università di Bari nel maggio 1985 e fa seguito ad un'opera precedente - curata dallo stesso Riccardi e intesa a ricostruire in termini globali la figura di Pio XII - affronta una questione specifica: chiarire le dinamiche ecclesiali e sociali - con particolare riguardo al loro intreccio - che si manifestano in Italia durante l'ultima fase del pontificato pacelliano, quella coincidente, dopo il periodo bellico e quello della ricostruzione dell'immediato dopoguerra, con lo sviluppo industriale del paese e la sua modernizzazione.
La prima parte dell'opera - che complessivamente si presenta utile per l'indubbia ricchezza di informazioni e di conoscenze apportate, ma anche assai disuguale nel valore storiografico dei diversi contributi - è interamente dedicata all'analisi del
l'atteggiamento generale tenuto dalla chiesa davanti ai processi di mutamento sociale presenti nell'Italia degli anni '50. Mentre alcuni contributi di taglio più circoscritto - S. Ferrari a proposito dell'assetto istituzionale della chiesa italiana; M. Guasco sul modello del prete; R. Morozzo della Rocca sugli orientamenti degli ordini religiosi - offrono preziose puntualizzazioni e notizie, più problematica appare la ricostruzione proposta da P. Scoppola e da A. Riccardi che, nei saggi iniziali, inquadrano il tema in termini globali.
Particolarmente difficili da condividere risultano le tesi di Scoppola. A suo avviso la chiesa pacelliana è radicalmente incapace di comprendere la modernizzazione del paese, in quanto tutta proiettata, attraverso una corposa mobilitazione di energie, che fa ricorso anche a strumenti moderni, come i mass media, ad elaborare e diffondere l'ideologia di cristianità, vale a dire la concezione secondo cui spetta alla gerarchia dettare gli orientamenti di tutti gli aspetti della vita dell'uomo, in particolare quella politica. In questo sforzo essa privilegia il momento ideologico all'analisi critica: i pericoli per la fede - derivanti dal progredire della secolarizzazione e dall'affermarsi del consumismo - sono così ricondotti non allo sviluppo industriale del paese ma alla "propaganda satanica" dei movimenti politici e culturali acristiani. L'articolato mondo cattolico esprimerebbe, secondo Scoppola, elementi di alternativa non tanto nei gruppi del dissenso - anch'essi incapaci di cogliere il nuovo - ma piuttosto in alcuni intellettuali - ben consci che la mobilitazione voluta da Pio XII mette in secondo piano il peso dei valori religiosi nella vita ecclesiale - e soprattutto in De Gasperi e Moro, che fanno della Democrazia cristiana lo strumento con cui i cattolici italiani si accostano alla modernizzazione.
Il tentativo di desolidarizzare gli indirizzi di Pio XII e della gerarchia da quelli del gruppo dirigente democristiano appare ingiustificato sul piano documentario e fondamentalmente dettato da istanze apologetiche. Non si può infatti dimenticare che, per quanto divisi sul modello di cristianità da realizzare - per gli uni sacrale, per gli altri profana - i vertici della chiesa e i leaders del partito cristiano convergevano però su un'opzione di fondo: una corretta gestione dello stato richiedeva in ultima istanza una garanzia ecclesiastica, dal momento che l'appartenenza alla chiesa assicurava il possesso delle necessarie qualità morali. È da questa comune prospettiva che deriva il rapporto tra chiesa e partito cattolico: alla mobilitazione dei fedeli, da parte della gerarchia, a favore della Democrazia cristiana per le occasioni elettorali corrisponde, da parte dei cattolici, l'occupazione delle principali leve del potere e la loro utilizzazione per la tutela di determinati interessi, in primo luogo quelli ecclesiastici.
In questo contesto porre il problema dell'approccio dei cattolici alla modernizzazione - al di là del fatto che manca una seria e rigorosa ricerca storica per dargli un'adeguata soluzione: ma qui il discorso porterebbe ad una troppo lunga discussione sull'organizzazione degli studi storici, in particolare di quelli contemporaneistici, nel nostro paese - pare comunque dettato dalla volontà di salvaguardare un'immagine positiva del partito cristiano, eludendo la questione essenziale della sua subordinazione degli interessi espressi dalla società civile, proprio per l'incapacità - ben mostrata dalla vicenda del gruppo dossettiano, costretto all'autoscioglimento - di svincolarsi dal rigido conservatorismo imposto dalla gerarchia.
Senza dubbio più storicamente fondato, anche se solleva qualche perplessità, risulta il saggio di Riccardi, che cerca di risolvere la questione dell'esistenza di una chiesa italiana durante l'ultima fase del pontificato pacelliano. La sua risposta è netta: "la chiesa italiana si concepisce come un movimento sotto la direzione immediata del sommo pontefice", sicché si deve parlare di una chiesa romana che abbraccia tutta la penisola. All'interno di questo quadro generale l'autore, sulla base dei verbali delle riunioni della Conferenza episcopale italiana - istituita nel 1952 come assemblea dei presidenti delle conferenze regionali e ben presto statutariamente caratterizzata come organo consultivo interno alla chiesa romana - tenta di individuare le articolazioni interne all'episcopato. Emergono così tre figure trainanti: Siri, allineato alle posizioni di Pio XII; Ottaviani, legato al "partito romano", il gruppo tendente ad una integrale confessionalizzazione del laicato cattolico impegnato in politica; Montini, vicino alla Fuci, orientato, con prudenza e pazienza, a diffondere la prospettiva, elaborata da Maritain negli anni '30, della "cristianità profana".
Si ha in realtà l'impressione che la sede della Cei, e l'utilizzazione della relativa documentazione, costringa il saggio di Riccardi in un'ottica troppo angusta rispetto alla pretesa di definire le posizioni della chiesa italiana. La conferenza episcopale, per la sua stessa configurazione istituzionale, non è in grado nel corso degli anni '50 di recepire le istanze e gli umori di un episcopato assai numeroso e frastagliato. Non che si possa mettere in dubbio la dipendenza da Roma dei vescovi italiani; ma il comune riferimento a Roma ha sfaccettature, articolazioni, aspetti che i presidenti delle conferenze regionali ben difficilmente potrebbero interpretare, sicché si rende necessario uno studio a più vasto raggio delle posizioni della gerarchia per definire adeguatamente i caratteri della chiesa italiana. D'altra parte questi vescovi chiariscono le loro specifiche posizioni attraverso i loro documenti, ed è dunque la consultazione di questi documenti che occorre mettere in opera - nonostante le difficoltà di reperimento e consultazione - se si vuole correttamente dar conto degli orientamenti complessivi della chiesa della penisola.
La seconda parte dell'opera raccoglie diversi contributi sulla situazione di alcune importanti diocesi dell'Italia centro-settentrionale nel periodo studiato Milano (G. Rumi), Torino (B. Gariglio), Genova (G.B. Varnier), Venezia (S. Tramontin), Bologna (G. Battelli), Firenze (B. Boccini Camaiani). Al di là degli apporti dei singoli lavori - insoddisfacente, ad esempio, l'analisi del caso milanese; mentre puntuale e ricca è quella offerta per Bologna o Firenze - val la pena di segnalare l'attento scavo condotto sulla chiesa torinese e su quella genovese. Emerge qui, sia pure nelle diverse forme dettate dal prevalere dell'industria privata a Torino e di quella pubblica a Genova, il totale allineamento della chiesa alle scelte compiute dall'imprenditoria, anzi il saldarsi, attraverso il partito cristiano, in un unico anello del rapporto chiesa-politica-capitale. In questo contesto l'iniziativa più propriamente religiosa viene schiacciata su un orizzonte drammaticamente limitato: da un lato si confonde con la politica, mondanizzandosi in uno scontro anticomunista che palesa il sostegno alle linee e alle direttive dell'industria; dall'altro ripercorre le forme tradizionali della pietà - in primo luogo quella mariana ed eucaristica, risolvendosi nella sublimazione delle tensioni sociali.
Questi sondaggi, parziali, ma acuti e penetranti, mostrano poi la sostanziale inattendibilità delle tesi generali che dovrebbero inquadrare il volume. Emerge infatti dai saggi ricordati che la chiesa, lungi dall'estraniarsi dallo sviluppo industriale del paese, lo favorisce nei modi e nelle forme ad essa proprie. D'altra parte la ideologia di cristianità che la egemonizza fa sì che la modernizzazione venga interpretata ed accolta come dilatazione del proprio spazio di potere. Possiamo forse qui intravedere la caratteristica centrale della chiesa italiana nell'ultimo periodo del pontificato di Pio XII: non la incomprensione del nuovo in una astratta battaglia ideologica; ma piuttosto la convinzione, in armonia con la lunga tradizione dell'intransigentismo cattolico, che lo sviluppo storico del "moderno", qualunque siano le sue specifiche e concrete dimensioni, può essere fronteggiato dalla chiesa solo ricorrendo agli strumenti del potere. Di qui appunto l'insistenza che, sia pure con accenti e toni diversi, accomuna tutto il mondo cattolico nel ribadire, anche davanti al procedere dell'industrializzazione, l'esigenza di ricondurre ogni processo sociale al controllo ecclesiastico.
La terza parte del volume esamina poi alcune diocesi meridionali: Napoli (A. Giovagnoli), Salerno (R. Violi), Palermo (F.M. Stabile), Bari (V. Robles), Taranto (M. Pizzigallo). Emblematiche della situazione della chiesa nel mezzogiorno - anche per l'indubbia personalità del vescovo, il card. Ruffini - sono le belle pagine dedicate a Palermo. Qui la preoccupazione dell'unità dei cattolici si colloca sul piano etico-religioso, mentre sul piano politico si tende a preferire all'inquadramento dei fedeli nel partito cristiano la loro dispersione nel blocco anticomunista delle destre, al fine di evitare ogni turbamento agli equilibri sociali esistenti ed al ruolo della chiesa. È solo grazie ai richiami di Roma che, sia pure attraverso un attento controllo sui programmi e sugli uomini, si attuerà l'impegno della gerarchia a fianco della Democrazia cristiana. D'altra parte l'episcopato meridionale - e ancora una volta paradigmatico è il caso di Ruffini - non si vale solo dei rapporti con i democratici democristiani, ma attiva anche contatti con industriali e uomini d'affari, perfino statunitensi, nell'intento di favorire lo sviluppo economico del territorio: a condizione, naturalmente, di mantenerne il controllo e soprattutto di impedire che possa svolgersi nella direzione del riformismo sociale.
Anche dal punto di vista della chiesa meridionale siamo dunque ricondotti ad interrogarci sulla prospettiva generale del volume, dal momento che pure qui, ancorché in forme specifiche, affiora non tanto l'incomprensione della modernizzazione, bensì la volontà di promuoverla e al contempo di conservare l'egemonia ecclesiastica sulla società. È proprio l'ideologia di cristianità - non a caso Ruffini iscrive la sua azione nella prospettiva di istaurare il regno sociale di Cristo - che consente un preciso rapporto col moderno: la chiesa può favorirlo in quanto, detenendo gli strumenti del potere, lo indirizzerà a suo vantaggio. Ma se le cose stanno così - e crediamo che le necessarie ricerche sul complesso della chiesa italiana dovrebbero confermarlo - non la secolarizzazione e il consumismo, bensì la trappola che la chiesa stessa si è costruita - nell'occupare direttamente o indirettamente, attraverso il partito cristiano, i luoghi del potere - è all'origine del contrarsi dei valori religiosi nell'Italia contemporanea.

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