In Chiamatemi Ismaele Marisa Bulgheroni ci presenta una ricostruzione di mezzo secolo di vicende letterarie statunitensi riflesse in una ventina di colloqui avvenuti fra il 1959 e il 1991 con alcuni degli scrittori più significativi del dopoguerra: Ellison, Bellow, Lowell, Mailer, Baldwin, Ginsberg, Philip Roth e altri ancora. Le interviste, pubblicate a suo tempo su giornali e riviste, sono qui in parte rielaborate e introdotte da un lungo racconto-saggio, Alla ricerca dell'America. La giovane studiosa era sbarcata a New York nel 1959 dalla Queen Elizabethcon l'incarico conferitole da Arturo Schwarz di scrivere un libro sulla letteratura contemporanea statunitense, che sarà infatti Il nuovo romanzo americano (1960). Gli incontri con gli scrittori costituivano per lei un presupposto essenziale. Le loro fisionomie e l'atmosfera della New York del tempo ci vengono ora consegnate attraverso uno scavo anamnestico strenuo, tenace, che restituisce "l'incandescenza del presente ai testi già pubblicati" con una capacità evocativa già sperimentata con successo nel romanzo di matrice autobiografica Un saluto attraverso le stelle (2007). I risultati appaiono tanto affascinanti sul piano narrativo quanto solidi e precisi sul piano storico, poiché nel Racconto della mia America (come recita il sottotitolo) i due livelli non vengono mai disgiunti. Nel saggio seguiremo la ragazza curiosa anche al di là di New York, in un'esplorazione di altri luoghi fondamentali del paesaggio letterario statunitense: lo specchio d'acqua del Walden Pond di Thoreau, la Concord di Hawthorne e Emerson, la New Bedford e la solitaria Nantucket di Melville e infine la stanza di Emily Dickinson ad Amherst. I frutti di quelle esplorazioni si vedranno decenni più tardi: nel 1997, infatti, di Dickinson Bulgheroni curerà per i "Meridiani" Mondadori Tutte le poesie, e nel 2001 pubblicherà la biografia Nei sobborghi di un segreto. Lunghe e complesse sono le maturazioni della sua scrittura, di cui il presente volume ci offre la doppia chiave di lettura. Il denso capitolo di storia culturale, scritto oggi, è intessuto di memorie vive ed è scritto con una leggerezza aerea sottesa da una compostezza profonda. La narratrice, attenta, brillante, sedotta e seducente, spesso divertita, più spesso pensosa, muove il suo racconto con mano abile, veloce. I colloqui con scrittrici, scrittori e intellettuali potevano aver luogo in un caffè, un ufficio, i saloni di un albergo, ma, più suggestivamente, anche nelle loro case. Ne esce una serie di ritratti in cui alla sagacia della ragazza curiosa (che spesso incontrava artisti dalla fisionomia ancora non ben definita) si somma la maestria della narratrice adulta. Rimando il lettore all'esempio forse massimo di questa tecnica critico-narrativa, Il guizzo azzurro dei suoi occhi veloci. Ricordo di Grace Paley, lo scritto composto nella propria casa di campagna, a Bernate, nel 2008, che chiude il libro. Vi si descrive l'incontro iniziale fra Bulgheroni e Paley, nella cucina dell'appartamento di quest'ultima al Greenwich Village: "Nell'Italia di quegli anni era il 1959 una scrittrice già nota come lei difficilmente avrebbe aperto la sua cucina, il suo cuore a una sconosciuta, amica di amici di amici. Ma eravamo a New York, dove le cose precipitano e l'ala del tempo batte impaziente dissolvendo gli indugi. (
) Possibile che ebrei russi a New York e lombardi di lago e di collina avessero tanto in comune? Che 'cucina' fosse, per Grace, come per me, il luogo dove sempre bolle un caffè, dove si gioca, dove si discute in lingue e dialetti, dove l'eco di risate e singhiozzi rimane appiccicata alle pareti, agli angoli, dove mai nessuno è straniero?". In quella cucina due donne quasi coetanee ma provenienti da mondi lontani sperimentano un "repentino riconoscimento reciproco", confermato dagli incontri successivi: quello fra un'italiana democratica, progressista, che sarebbe diventata scrittrice, e un'ebrea di origine ucraina, che già era "scrittrice famosa e battagliera protagonista del femminismo e del pacifismo americano"; quello di due vite gioiose attraversate da esperienze tragiche, come il fascismo e lo sterminio. Qui la Storia non viene evocata più di tanto, ma quel tanto basta: "Quando la madre [di Paley] commentò l'ascesa di Hitler al potere con un secco 'Ci risiamo', quelle due parole, colte per caso, le si stamparono nella mente per sempre: una profezia dell'Olocausto". Eppure delle ferite della Storia, ben visibili nelle opere delle due autrici, vi sono le tracce anche lì, in quella cucina, frammiste alle loro vicende individuali. E quel "guizzo azzurro dei suoi occhi veloci", colto al volo, definisce fulmineamente la cifra stilistica della scrittura di Paley, come lo fanno l'irosa energia di Norman Mailer, la danzante fragilità di James Baldwin, la ritrosia malata di Carson McCullers o la solenne perentorietà di Edmund Wilson. Il flash dell'istantanea svela l'invisibile essenza di una scrittura. Mario Corona
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